Royal Government arc: in difesa dell’arco narrativo più ignorato di Attack on Titan
I volumi tredici-diciassette non hanno l’attenzione meritata e l’analisi di foreshadowing, specularità strutturale e sospensione narrativa nel Royal Government arc è pronta per dimostrarlo.
Attack on Titan – The Final Chapters Special 2 ha terminato la saga di Hajime Isayama, ma la sua eredità continua a influenzarci attraverso le vie più disparate. Troppo spesso, però, il ricordo degli appassionati della serie, edita in Italia da Panini Comics – Planet Manga, è organizzato in una casta. Per cui, alcuni archi narrativi vengono condivisi spesso (The Fall of Shiganshina, Clash of the Titan), altri meno se non addirittura al limite dell’oblio (Battle of Trost, 104th Training Corps). Il più ignorato è il Royal Government arc, riguardante i volumi tredici-diciassette e gli episodi trentotto-quarantotto.
Numerose sono le interviste in cui l’autore ammette il blocco creativo dell’epoca. Una mancanza di ispirazione proprio quando il mondo narrativo aveva raggiunto una complessità maggiore, ormai lontano dagli stilemi shōnen per avvicinarsi alla letteratura distopica, al romanzo storico e, perché no, ai thriller cospirativi che elevano la fantapolitica a momento zero. Difficile imbastire cospirazioni e istituzioni pensanti, al punto che Isayama avanzava l’ipotesi di interrompere la storia prematuramente.
Resta da chiedersi se questo blocco – apoteosi della resilienza, parola svuotata dal proprio significato ma portatrice di sviluppi virtuosi, ossia vivere una crisi, trovare una nuova soluzione e reinterpretare la prima fase come un incentivo alla crescita – non sia un rinforzo negativo per sperimentare il nuovo, qualcosa che si allontana dal tasto (seppur soddisfacente) che Attack on Titan ha continuato a premere da cinquanta capitoli. In breve, realizzare un arco narrativo deliberatamente eclissato per ottenere vantaggi nel breve e nel lungo termine.
Umani-umani
A quali vantaggi ci si riferisce? Innanzitutto all’importanza dell’essere umano, perché la narrazione distesa permette un approfondimento della psicologia individuale.
Non per questo il membri del Corpo di Ricerca possono considerarsi al sicuro. Come ribadisce Armin più volte, ora è l’uomo il vero antagonista, o addirittura lo è sempre stato. L’insieme di attentati, sequestri e revisionismo storico è più temibile di qualsiasi titano a cui tagliare la nuca con un colpo deciso.
Difficile troncare con un’operazione altrettanto pulita la repressione politica, che vive la spaccatura tra conservatorismo e progressismo. Da un lato il contesto socio-culturale, dall’altro i giornali, con l’obiettivo di raccontare una versione aderente alla realtà denaturata da Re Fritz per spodestare la famiglia Reiss.
Ed è in relazione alle istanze antagoniste che i protagonisti crescono. Così Erwin dovrà rinnovare l’ideologia del padre e scontrarsi con i reali, Levi chiudere la questione con lo zio materno, Historia risolvere le questioni familiari, scegliere se fidarsi della narrazione ricorrente e, nella migliore delle ipotesi, dar vita a una società basata sul dialogo.
In definitiva, il messaggio del Royal Government arc appare evidente: il passato collettivo influenza quello individuale, il passato individuale quello collettivo. Soprattutto, però, qualsiasi rivoluzione non può che partire dall’analisi del proprio io.
Giganti-umani e umani-giganti
Perfino i giganti vengono antropomorfizzati durante i venti capitoli. Considerati come umani, fautori di sensi di colpa nel Corpo di Ricerca, sono il trampolino di lancio verso umani vs umani. Oppure, in termini semiotici, giganti-giganti ora elevati a giganti-umani (Giganti Puri), umani-giganti (Reiner e Bertholdt) e umani-umani (famiglia Reiss), il tutto vs umani-giganti (Eren) e umani-umani (Corpo di Ricerca e giornalisti). Qui, la componente titanica è l’effetto dell’egoismo e non la causa.
Riguardo il Gigante d’Attacco di Eren, invece, egli è non soltanto umanizzato dall’allenamento di Hange – l’obiettivo è eclissarne il lato più animalesco, finché la fusione non diventa empirica nel capitolo cinquantatré –, ma anche dal nuovo potere che lo caratterizza. Si tratta del Potere del Gigante Progenitore, capace di controllare i Giganti Puri, manipolare i ricordi e innescare il Rombo di Tuono. Un’abilità più astratta delle precedenti, e la resilienza del Royal Government arc non può che risentirne positivamente.
Ma Isayama è un genio. Non si è limitato alla scrittura hic et nunc senza continue incursioni nel foreshadowing e nella specularità narrativa. Secondo lo schema ABA, la depressione di Eren dopo gli eventi nella Cappella Sotterranea prefigura quella vissuta nel Marley arc. Contemporaneamente, l’approfondimento psicologico costituisce un Aa che arricchirà la riconquista di Shiganshina.
Lo stesso vale per il controllo del Gigante d’Attacco (in vista degli scontri futuri, più cerebrali) e per la reinterpretazione della realtà attuata dai giornalisti, roseo precursore della retorica marleyana. Il Gigante Progenitore diventerà non soltanto una figura da circoscrivere, ma addirittura un Demonio da estinguere a suon di cannoni e retate pubbliche.
Non-giganti
E i giganti? Sorprendentemente, il cuore di Attack on Titan è ridotto al minimo giunto al giro di boa qual è l’undicesimo arco narrativo. Ecco spiegate le ritrosie degli appassionati. A una considerazione più matura, però, realizziamo che la genialità autoriale sta proprio in virtù di tale mancanza.
Ciò deriva dalla sospensione narrativa, considerata alla stregua della suspense, del cliffhanger (come fecero ad esempio Charles Dickens e Alexandre Dumas) e della funzione ritardata. Nel caso di Attack on Titan questa sospensione diventa più propriamente assenza elementare, ovvero la mancanza dell’elemento principale – i giganti – per un arco narrativo.
I vantaggi sono due: sondare le sottotrame e, in un contesto dal sapore così differente che si eleva a reinterpretazione semantica – dove il Royal Government arc prefigura la caduta conseguente al climax/periodo di grazia qual è il raggiungimento dell’oceano –, non annoiare il lettore.
Fin dal primo capitolo i giganti compaiono in ogni dove, al punto da innescare il desiderio di non vederli per un po’ di tempo. Similmente, la sospensione arricchisce il Return to Shiganshina arc di una sfumatura ulteriore: un grande ritorno, la consapevolezza che il seppur premeditato momento di secca è ormai alle spalle. Così, proprio quando le creature di Isayama avrebbero rischiato la saturazione, sfruttano l’assenza per tornare all’apice della popolarità.
A proposito di popolarità, apparirà chiaro che l’arco narrativo migliore debba il successo non soltanto alla qualità narrativa – basti pensare al discorso di Erwin o allo scontro tra Levi e il Gigante Bestia –, ma anche all’assenza elementare che si rovescia nell’opposto tra le rovine di Shiganshina.
Giganti o non-giganti?
Inutile specificare come Isayama sia andato ancora oltre, al punto da applicare la tecnica narrativa senza incorrere nello svantaggio principale che la caratterizza: la perdita di coesione.
In un’opera denominata Attack on Titan sospendere i giganti del tutto avrebbe danneggiato le aspettative del lettore, peraltro già provate dal focus sul sistema politico. Viceversa, inserirli sporadicamente avrebbe retrocesso l’eclissi dei volumi tredici-diciassette a mero arco depotenziato.
Come agire? Semplice per Isayama, meno per i lettori: inserire giganti a loro volta eclissati, privati del loro statuto totalizzante al fine di garantire l’isotopia mostruosa pur senza tradire la coesione sottostante.
Nel Royal Government arc troviamo quindi un Gigante d’Attacco ormai addomesticato; la carneficina di Grisha, ormai persa nel passato; la trasformazione incompleta di Rodd Reiss, che porterà a un gigante senza volto e a un enorme scheletro (prefiguratore del rumbling); Eren ridotto a una testa umana attaccata alla spina dorsale; ancora il Gigante d’Attacco completamente cristallizzato, strizzando un occhio al futuro potere di indurimento.
Infine, troviamo l’immagine tangibile del Gigante Colossale e del Gigante d’Attacco che distruggono il Wall Maria. Per fortuna si rivelerà una mera fantasia, ideata da Pixis e riferita da un soldato della Guarnigione per mostrare la vera natura dei nobili. In questo modo, la mitigazione viene garantita da una visione astratta, per forza di cose meno tangibile della realtà.
Conclusioni
Se si volessero racchiudere i rapporti in un quadro descrittivo, ne deriverebbero non-archi narrativi (il Royal Government arc e alcune porzioni del post-time skip) e archi narrativi (tutti i restanti); umani e giganti, non-umani (Eren, Reiner, Bertholdt, eccetera) e non-giganti (i giganti stessi, ora ex-abitanti di Paradis, così come le creature eclissate nei volumi tredici-diciassette).
L’arco stesso può considerarsi un utopico non-Attack on Titan. Ecco perché molti fan storcono il naso. Tuttavia, senza una negazione simile non avremmo sperimentato l’ennesima esperienza di morte della lunga rassegna che ha reso celebre il manga di Isayama.
Forse non avrà la stessa appariscenza della distruzione del Wall Maria e del rumbling. Eppure, la non-appariscenza della parte in questione ha il vantaggio di testimoniare come ogni dettaglio, anche se impopolare, garantisca la supremazia di Attack on Titan sulle altre opere shōnen e non. In altre parole, la vincita di una corsa troppo spesso esaltata dalle esplosioni e timorosa del momentaneo silenzio.