Tokyo Godfathers: Il Natale degli ultimi
La neve cade dolce su una Tokyo dei primi anni del 2000. Un coro angelico ci introduce ad un sermone sui valori della bontà e dell’amore, della pace tra gli esseri umani e il rispetto reciproco. Alla luce soffusa delle candele, il coro continua ad accompagnare questo messaggio di speranza. È Natale.
Tokyo Godfathers parte con questa premessa, trasportando spettatori e spettatrici nella classica atmosfera da “caminetto e buoni sentimenti” tipica del periodo natalizio. Ma chi conosce il cinema di Satoshi Kon, sa bene quanto a questo maestro dell’animazione piaccia giocare con i cliché e gli stereotipi. Il film infatti vuole essere sì un racconto natalizio, ma da un punto di vista diverso: quello di tre senzatetto giapponesi.
La loro avventura, dal ritrovamento di una neonata nella spazzatura alla serie di di peripezie per riportarla alla sua famiglia è a tutti gli effetti una storia di “magia del natale”, ma invece di essere circondata da alberi illuminati e luci di candele, saranno l’immondizia e i lampioni elettrici a fare da cornice a questa fiaba natalizia.
“Siamo solo spazzatura”
I tre senzatetto protagonisti del film, Hana, Jin e Miyuki non sono i protagonisti convenzionali che si pensa di trovare in una commedia natalizia. Sporchi, sdentati e circondati da immondizia mentre racimolano spiccioli per mangiare qualcosa, i tre senzatetto danno chiaramente un’immagine definita di come Tokyo Godfathers non abbia intenzione di addolcire la cruda realtà di una vita per strada.
Con un magnifico contrasto infatti, dopo il sermone ascoltato in chiesa dai nostri eroi, il ritorno alla realtà mette subito l’accento su come il natale è la festa dell’amore e della pace solo se te li puoi permettere. Per i nostri tre eroi, al massimo, è un piatto di zuppa calda in più per scaldarsi le mani nel freddo di un’altra giornata invernale da passare all’addiaccio.
Mentre il mondo intorno a loro festeggia indifferente e si scambia doni, a loro spetta rimanere ai margini della società, ignorati, evitati e guardati con disgusto. Come ripete più volte Jin in più parti del film, loro tre di fatto sono “solo spazzatura”. Per loro non esiste un lieto fine, una fiaba in cui magicamente tutti vissero felici e contenti e soprattutto, redenzione. Nelle parole di Jin infatti si legge una rassegnata accettazione della propria condizione di “scarto della società”, non più umano ma rifiuto.
Tornare nel mondo
Nel clima di disperazione generale in cui sembra iniziare Tokyo Godfathers, la presenza della bambina abbandonata agisce come una miccia che risveglia l’umanità sopita dei tre personaggi.
A partire da Hana, la “sognatrice” dei tre, che inizialmente vede nella bambina un’occasione per diventare quello che la società non le consente di diventare: una madre. La donna transgender infatti sottolinea più volte come sia rassegnata alla sua condizione di minoranza non ascoltata, donando anche un toccante affresco sui diritti LGBTQIA+ in Giappone.
Allo stesso modo questo tocca anche Miyuki, la ragazzina fuggita di casa dopo aver accoltellato il padre, che crede di aver perso il suo posto nel mondo e vive il suo rapporto con gli altri con una rassegnazione mascherata da disprezzo.
In ultima battuta lo stesso Jin, il portavoce della filosofia per cui i tre sono “spazzatura” si lascia toccare dal semplice fatto di una neonata abbandonata a morire al freddo, un destino inaccettabile per un’innocente.
Ultima tra gli ultimi
Il ritorno nel mondo da parte dei tre protagonisti è un processo doloroso, fatto di presa di coscienza delle proprie azioni e delle persone che sono ed aspirano ad essere. La presa di coscienza del suo rapporto con il padre da parte di Miyuki o lo scoprire che Hana è malata di AIDS pone i personaggi di fronte a delle sfide “umane”, sfide che avevano deciso di ignorare uscendo dal mondo per vivere come “spazzatura”.
La presenza di Kiyoko (questo il nome che Hana da’ alla neonata) è il motore che spinge i tre a rientrare nella società, con forza e urlando, per far si che perlomeno questa innocente che non ha nemmeno avuto un’occasione per vivere non sia costretta a soffrire come loro. Questa “ultima tra gli ultimi” sarà per i tre il filo che unisce il reale con l’incredibile, il vero “miracolo” del natale di Tokyo Godfathers: la speranza.
Tokyo Godfathers, o la casualità come speranza
Nella favola di Natale di Toky0 Godfathers però, questa speranza miracolosa non si manifesta con un’iconografia di stelle comete e angeli, che anzi vengono riproposte in chiave ironica. Quello che si manifesta con evidenza per tutto il film è la presenza di coincidenze fortuite, la costante di una componente di casualità: la stessa trama è un susseguirsi di coincidenze e avvenimenti fortuiti che portano i tre personaggi ad incontrare puntualmente la persona giusta al momento giusto.
Questo accade ad esempio quando Jin si separa da Hana e Miyuki dopo un diverbio, che verrà malmenato da dei ragazzi e raccolto dalle lavoratrici del locale di “Mama”, ex benefattrice di Hana, poco prima che quest’ultima decida di rivolgersi a lei per avere rifugio. O ancora, quando l’uomo viene portato in ospedale a seguito delle lesioni e lì incontra la figlia, ora diventata infermiera, e ha così occasione di coronare il suo sogno di poterla rivedere.
Quello che emerge da queste “coincidenze” in Tokyo Godfathers è che anche la situazione all’apparenza più tragica nasconde un’inaspettata ricompensa per i tre senzatetto. Questo, il film ce lo fa capire molto bene, è proprio dovuto al loro atto di umanità, il prendere a cuore Kiyoko a scapito del loro benessere.
La bambina del destino
È infatti sempre Kiyoko la chiave di volta della ritrovata speranza dei tre. Oltre ad essere ciò che li spinge a rientrare nella società per far sentire la propria voce, la bambina è sempre la causa scatenante di fondo della infinita serie di coincidenze di Tokyo Godfathers. Come la chiama Hana all’inizio del film, la neonata sembra essere una “bambina del destino”, protetta da forze superiori che la vogliono proteggere.
Si potrebbe essere tentati di attribuire a queste coincidenze operate per proteggere Kiyoko il nome di “miracolo”, un intervento da parte di forze superiori, del tipo benevolo, onnisciente che protegge i buoni e puniscono i malvagi. È quello che ci si aspetterebbe in un film di Natale, il proverbiale “miracolo natalizio“.
Satoshi Kon nei suoi film raramente si accontenta di spiegazioni immediate e in linea con le narrazioni classiche. Gli interventi “miracolosi” di Tokyo Godfathers infatti non esistono, ma sono sempre la conseguenza di come i tre “padrini” reagiscono al mondo, con amore e comprensione invece che con indifferenza.
L’amore contro l’indifferenza in Tokyo Godfathers
L’indifferenza è un altro punto centrale del film. Se infatti da un lato abbiamo i nostri tre “padrini”, dediti anima e corpo a salvare Kiyoko dal suo destino, il resto del mondo si muove in una indifferenza glaciale. A partire dalla stessa ambientazione, un paesaggio innevato che non evoca il “calore invernale” quanto il freddo della solitudine, i nostri tre eroi si muovono in un mondo inospitale e dominato dalla distanza.
Nonostante il ritorno nella società elimini la loro condizione di “spazzatura”, raramente verranno trattati come qualcosa di diverso dal resto delle persone. La satira tagliente di Satoshi Kon ci mostrerà per tutto il film frotte di “persone per bene” comportarsi nelle maniere più abiette. Dal semplice disgusto per i tre senzatetto ad atti di violenza di varia natura, saranno sempre coloro che sono inseriti nella società a comportarsi nella maniera più disumana di tutti.
Questo fino all’estremo delle scene finali, in cui la finta madre, dopo essersi fatta consegnare Kiyoko da Hanae Miyuki, fugge dai tre senzatetto. Delle varie persone che la incrociano, nessuno da ascolto ai tre padrini, nessuno la ferma. L’amore che i tre padrini provano per Kiyoko li spinge ad andare oltre al muro di indifferenza che la società gli ha costruito intorno.
A costo dei loro interessi, rischiando la loro stessa vita, aiutano la neonata perché è la cosa giusta da fare. La somma delle loro azioni e reazioni al continuo flusso di casualità, l’umanità con cui affrontano ogni scontro è ciò che porta alla risoluzione finale, l’unico vero “miracolo” in senso letterale, quasi una sorta di concessione del destino ai continui sforzi di tre persone di scegliere l’amore all’indifferenza.
Gli ultimi sono i primi in Tokyo Godfathers
Questo alla fine è a tutti gli effetti una favola di natale. Una favola in cui il bene vince sul male, in cui la speranza spazza via le ombre della disperazione e dell’indifferenza. A differenza di una favola di natale “classica” però, questo film dona allo spettatore qualcosa di più di un messaggio di speranza.
Nella scena del salvataggio di Kiyoko, del “miracolo” a tutti gli effetti che porta all’epilogo felice per i tre padrini, una meritata ricompensa per aver scelto di preoccuparsi del prossimo. Questi ultimi che diventano primi per umanità sono ciò che ci si dovrebbe aspettare da chi ci sta accanto: non supereroi né grandi benefattori, solo persone che si ricordano che il prossimo esiste. Una cosa che nella Tokyo di questo film sembrano ricordarsi soltanto coloro che per primi sono abbandonati dal prossimo.
Tokyo Godfathers rappresenta senza mezzi termini uno dei tanti lati poco piacevoli e spesso occultati del Giappone, smascherando l’ipocrisia del Paese con tono ironico e pungente, in pieno stile Satoshi Kon. Il regista vuole lanciare un messaggio chiaro, una critica alla società giapponese perbenista e indifferente. E, diciamoci la verità, di tutta la società, noi compresi. A differenza di altre critiche sociali all’interno della cultura pop, questo film mostra tutto, il brutto e il bello, e ci ricorda il messaggio mai scontato che anche chi è diverso da noi ha un cuore che batte nel petto.
Classe ‘98, Filippo Recaneschi ama scavare nel profondo della Pop Culture e dei suoi prodotti. Ama ancora di più condividerla e raccontarla senza stereotipi.