AniKult: Paprika, l’eredità che Satoshi Kon ci lascia in suo ricordo
L’ultimo film del regista esplora il tema del sogno, mostrando nuovamente la sua capacità di creare storie introspettive e ancora attuali.
Presentato durante la 63° mostra cinematografica del Cinema di Venezia e uscito nelle sale cinematografiche giapponesi il 25 novembre 2006, Paprika – Sognando un sogno è un film visionario, che ha permesso ancora una volta al compianto Satoshi Kon di ridefinire le regola del cinema d’animazione giapponese.
Quarto ed ultimo lungometraggio dell’autore, uscito a nove anni di distanza dalla sua opera prima, il film cult Perfect Blue, Paprika è basato su una novel dell’autore giapponese Yasutaka Tsutsu, e vede il ritorno del regista al cinema dopo la breve parentesi televisiva con Paranoia Agent, che esattamente come la serie anime e i suoi lavori precedenti, vede la produzione di Madhouse.
All’interno dello staff spiccano tra i nomi di Seishi Minakumi come aiuto sceneggiatura e il ritorno di Susumu Hirawasa (che aveva già collaborato con Kon a Millennium Actress) alla colonna sonora.
Negli anni il regista ha saputo creare storie introspettive, spaziando dal thriller psicologico alla commedia, rappresentando un affresco accorato della società giapponese degli ultimi anni, cogliendo aspetti critici e ambigui che caratterizzano questi anni.
Paprika non è un’eccezione in questo, e cerca di descrivere i primi palpabili cambiamenti di una società che iniziava a muoversi nel Web 2.0, diventando sempre più in grado di accorciare le distanze, sociali e globali.
Ma l’aspetto che vuole sottolineare il regista nell’opera non è esattamente positivo, ponendo il dubbio di dove si può spingere a soddisfare il bisogno di essere iperconnessi e dell’avanzamento tecnologico. Ma proviamo a ripercorre in retrospettiva i punti cardine del film.
“Dreaming I was dreaming”
“Lei non crede che i sogni ed internet siano luoghi simili? Sono posti dove si esprimono desideri repressi”
È la riflessione che la protagonista, Paprika, pone al suo cliente in cura, il commissario Matsumoto, dopo avergli dato appuntamento in un sito web. Dietro l’apparente home page raffigurante la porta di un bar privato, l’uomo si ritrova “immerso” nell’esperienza, e dallo schermo del PC viene trasportato “in carne d’ossa” di fronte ai due camerieri che fino a un minuto prima erano un apparente animazione flash della homepage del sito web. Se consideriamo l’anno di uscita del lungometraggio, possiamo ricordare che in quegli anni internet iniziava ad avere un ruolo predominante nella società, e le realtà come i forum online o Second Life erano incredibilmente popolari, andando a soddisfare un bisogno di interconnessione e di creare delle reti sociali tramite il web. Di fatto, quell’epoca ha segnato l’inizio di un nuovo modo di vivere la socialità, che ci permetteva di non instaurare necessariamente relazioni dal vivo o in carne ed ossa e di camuffarci attraverso degli avatar che potessero essere una rappresentazione di ciò che noi siamo in realtà o una versione ideale di noi stessi, quello che vorremmo essere ma non riusciamo a diventare.
D’altronde, un avatar è esattamente quello che in realtà è Paprika stessa. Scopriamo, infatti, che ella è un alter ego virtuale della dottoressa Atsuko Chiba, psichiatra di un centro sperimentale che utilizza con i suoi pazienti la DC Mini, uno strumento in grado di entrare dentro il subcoscio dei propri pazienti mentre versano in uno stato di incoscienza dovuto al sonno. La dottoressa è in grado così di materializzarsi nei sogni delle persone che ha in cura per aiutarli a superare dei traumi profondi.
Per riuscire a essere d’aiuto a coloro che le chiedono aiuto, la psichiatra veste le sembianze di quella che potremmo definire come la versione ideale del suo sé, ovvero Paprika, che – come il nome che rimanda alla spezia piccante – è una donna esuberante e dalla risposta pronta, in grado di sedurre tutti gli uomini che incontra grazie alla sua bellezza.
Tutto il contrario della vera dottoressa, che fin da subito viene mostrata come una professionista seria e distaccata, fredda e cinica mentre si relaziona con gli altri.
Intorno a lei, i suoi superiori e colleghi del centro sperimentale dove lavora si pongono il dubbio morale dello strumento che utilizzano. A differenza della protagonista che non sembra inizialmente interessata a farne una questione etica sul mezzo da lei applicato, in molti si domandano sulle conseguenze causate da una scoperta simile. Questa situazione crea una spaccatura netta all’interno del centro.
Infatti, da un lato troviamo Kosaku Tokita, inventore del DC Mini (un genio dalla corporatura gigantesca ma con il cuore e le aspirazioni di un bambino), che, fiducioso ed entusiasta della sua scoperta, ritiene lo strumento per aiutare a capire il prossimo; dall’altro, invece, lo scetticismo pessimista del presidente del centro sperimentale, che vede una minaccia catastrofica la possibilità di entrare nei sogni altrui.
In questa divergenza di vedute, qualcuno ruba il DC Mini e ne approfitta per entrare all’interno dei sogni dei dottori del centro e manipolare le loro menti, costringendoli a compiere bizzarri atteggiamenti mettendo a rischio la loro incolumità e di chi gli sta intorno.
Dopo questo evento, la divisione morale tra la due linee di pensiero diventa più netta, e da quel momento lo stacco tra sogno e realtà nel film diventa impercettibile: i personaggi, nel tentativo di seguire il presunto colpevole dietro questo atto – l’ex assistente di Tokita, Kei Komuro – iniziano a non distinguere il mondo reale da quello dei sogni.
Emblematico, in tal senso, come in alcune sequenze la dottoressa vede riflessa nelle pareti e negli specchi la sua alter ego Paprika, che sembra svolgere una funzione da angelo custode nell’avvertire la protagonista dei diversi pericoli che incorre nella sua ricerca. Mentre Chiba continua la terapia con il suo paziente e cerca nel frattempo di scoprire il ladro della DC Mini, le vicende cominciano sempre di più a prendere una piega sempre più surreale, dove con il passare del tempo il piano della loro realtà diventa mutevole e liquido costringendo tutti i personaggi a domandarsi seriamente sui reali pericoli della tecnologia e della scoperta da loro attuata.
Non è la prima volta che Kon pone i suoi personaggi in uno scenario mettendoli davanti una crisi ideologica, un argomento che aveva già trattato soffermandosi sulla psiche e la crisi della propria identità nella sua pellicola d’esordio Perfect Blue, ma il contesto che gira intorno al mondo scientifico cerca di porre una riflessione più alta sui limiti che l’uomo può raggiungere con la tecnologia.
“La scienza è inutile di fronte l’immensità di un sogno” è una delle frasi che il presidente rivolge in uno dei dialoghi ai suoi scienziati. Le motivazioni per cui l’uomo applica la scienza e la tecnologia sono davvero spinte dal bisogno di soddisfare il fabbisogno altrui o è dettato dall’arroganza di voler ambire sempre a qualcosa di più? Fin dove possiamo spingerci nelle nostre scoperte e che fine ultimo possono avere le persone appena ne entrano in possesso? Sembra questa la domanda che il regista vuole porgere allo spettatore in maniera diretta.
Per dare una maggiore valenza a come il confine tra sogno e realtà diventa fluido e impercettibile fino a diventare pericoloso, il regista decide di non svelare mai direttamente che quello a cui lo spettatore sta assistendo sia in realtà un sogno, se non in un eccezione alla fine della sequenza iniziale che rappresenta uno degli incontri di terapia tra Paprika e Matsumoto. Presentando i due personaggi in diverse situazioni frenetiche e bizzarre dove lo scenario muta velocemente in diversi contesti frenetici e situazioni di aggregazione, Kon decide di giocare sul simbolismo e il meta-linguaggio attraverso alcuni elementi ricorrenti.
In particolar modo l’espediente più frequente è quello della parata, dove molti dei personaggi la cui mente viene rapita dal misterioso rapinatore si ritrovano catapultati, finendo coinvolti in una lunghissima marcia campeggiata di oggetti animati, bambole tradizionali e mostri mitologici.
Essa può essere interpretata come un riferimento alla mitologia giapponese e alla leggenda della parata degli Yokai, dove chi viene coinvolto viene trascinato a seguire i demoni nel mondo dei morti, simboleggiando il rischio di smarrirsi all’interno delle proprie fantasie perdendo la via della conoscenza.
Altro elemento rincorrente è inoltre proprio quello delle bambole, che spesso ritroviamo come elemento di sfondo nei diversi ambienti o come presenza costante che insegue i personaggi, muovendosi in maniera terrificante. Il loro simbolismo può essere associato non solo a un’idea di perfezione e di desiderio, ma anche come del falso ideologico, un qualcosa che vorrebbe apparirci ideale ma che in realtà dimostra di essere effimero e terrificante.
Oltre a ciò, nei sogni i personaggi sono in grado di mutare la loro forma a proprio piacimento, diventando fate, clown, guerrieri mitologici in grado di volare o applicare il loro viso in nuvole o cartelloni. Ma quando i confini della fantasia e della realtà si mischiano, anche nel film inizia a non essere più chiaro in quale piano della realtà stanno avvenendo i fatti, cercando di mandare in confusione lo spettatore.
Infatti, il subconscio prende il sopravvento sull’uomo, ribellandosi e rendendo indistinguibile anche la vita dalla morte; in questa situazione caotica e intricata, l’unico modo dato ai personaggi per non impazzire definitivamente diventa l’accettazione di se stessi e dei propri sentimenti, cercando di porre davanti la necessità di risolvere i conflitti personali. Solo cosi essi avranno la possibilità di proseguire nelle loro vite non cercando rifugio negli strumenti che la tecnologia pone loro dinanzi.
La magia della settima arte
Non è soltanto internet l’unico mezzo che ci permette di raggiungere desideri sopiti e staccarci dalla realtà. L’altro medium che ci permette di sognare nel corso del film è il cinema stesso.
Nel corso della storia infatti, il luogo più ricorrente dove i personaggi interagiscono è la sala cinematografica, uno dei posti della nostra vita comune che ci aiuta a fuggire dalla quotidianità di tutti i giorni. Emblematico in questo senso è il personaggio di Matsumoto, che nel corso della sua terapia con Paprika, viene a patti con il suo passato da aspirante regista, dove insieme a un amico si divertivano a creare diversi film amatoriali in cui inventavano diverse storie a tema investigativo.
Quando la protagonista gli chiede il motivo per cui ha smesso di seguire le sue aspirazioni cinematografiche, il detective glissa inizialmente la domanda in maniera sbrigativa, ammettendo solo in un momento successivo le motivazioni che lo hanno spinto anche a disaffezionarsi alla sua passione, rifiutandosi di proseguire una carriera in quel ambito per passare a “un lavoro vero” che potesse essere utile per la comunità.
Se questa piccola sotto trama giungerà poi alla conclusione tramite la risoluzione personale del detctive, la scelta di parlare del mezzo cinematografico non è affatto scontata: nel corso della sua ormai pluricentenaria storia, infatti, il cinema ha donato all’uomo la capacità di costruire attraverso la mente delle visioni personali, alimentate dai nostri personali pensieri o da quelli di chi ci circonda. Mettere in scena un pensiero permette all’essere umano di fare un tentativo di comprendere ciò che alberga nei meandri della nostra mente, cercando per esempio di dare un significato alle immagini che vediamo mentre sogniamo.
Inoltre, i film sono dei prodotti dove lo spettatore si immedesima nei personaggi e nelle loro vicende, vedendo riflessa una parte della loro personalità o cercando di vedere quelle caratteristiche che vorrebbe avere in sé. E forse è proprio attraverso, il cinema, in particolare quello di animazione, che possiamo dare una forma alle storie e ai personaggi che noi elaboriamo nei nostri pensieri, fuggendo dalla quotidianità in cerca di intrattenimento. Kon non crea solamente eventi o scenari surreali e improbabili, che difficilmente potrebbero essere recitati da diversi attori in carne ed ossa, ma riesce anche a collegarsi direttamente alla storia della settima arte, citando diversi cult nel corso della pellicola numerosi film come Nausicaa della valle del vento o Tarzan senza dimenticare le sue precedenti opere che fanno capolino in una particolare scena.
Il mondo del cinema sembra rappresentare l’altra faccia della medaglia del tema del film: se Internet e il progresso ci danno la possibilità di illuderci di poter essere quello che vogliamo, stimolandoci a creare o migliorare connessioni con gli altri, il cinema ci permette di sognare e di fare lo stesso, ma solo per un breve periodo, facendoci volare con la mente per un breve periodo per poi farci tornare alla nostra realtà, permettendoci però di elaborare dei messaggi dalla visione che ci danno la possibilità di riflettere e migliorare noi stessi.
Per esempio, un significato che il registra sembra voler trasmettere proprio tramite il personaggio del commissario e quello dell’ “uccisione” del sogno, è la repressione delle ambizioni. Nel corso della storia, infatti, diventa sempre più palese come il personaggio viva un costante rimorso per non aver portato avanti la propria aspirazione a causa della paura di non riuscire a farcela con le proprie forze, cercando invece rifugio in qualcosa di socialmente più accettato. Facendo i conti con il proprio passato, deve provare ad andare avanti e provare a superare i fantasmi che lo perseguitano.
Una preziosa eredità
Guardando invece ad un aspetto più tecnico, il film continua a essere impressionante anche a distanza di anni. Le animazioni sono visivamente accattivanti, in grado di rappresentare in maniera vivace i momenti più euforici del film e di riuscire a colpire l’occhio dello spettatore, permettendo al regista di rendere in versione animata i riferimenti e le tematiche che hanno caratterizzato il cinema europeo dei primi anni novanta.
Seppur in questa occasione non sia lui stesso a occuparsi del character design, Kentaro Hashimoto si mantiene fedele alla caratteristiche principale del tratto di Kon, con particolare cura del volto dei personaggi, permettendoci di vedere espressi in maniera chiara i sentimenti che esprimono nei dialoghi.
Le musiche di Hirawasa, che ha composto la colonna sonora seguendo diverse direttive di Kon, spiccano soprattutto grazie al trascinante tema principale caratterizzato da un electro-pop frenetico e dirompente accompagnate da una voce robotica e affettata, per poi proseguire a suoni più rilassati e distesi, che aiutano a rendere più efficace l’immersione nel mondo irreale dei sogni.
La cura che presentano gli aspetti tecnici del film e che gli permettono di non sfigurare ancora oggi – oltre alla capacità del regista di presentare tematiche adulte e tangibili dando nel frattempo uno sguardo critico alla società dei tempi – fanno capire come ci abbia lasciato un piccolo capolavoro che merita nuovamente di essere visto, apprezzato e ricordato, dandoci nuove chiavi di lettera dopo l’ennesima visione.
Riguardando un’opera del genere ci si domanda quanto il registra avrebbe potuto ancora dare oggi, grazie alla sua capacità di lanciare messaggi non scontati, che hanno contribuito negli anni a rendere meno l’idea che l’animazione sia un medium rivolto solamente a tematiche più infantili. Se il mondo anime nel 2023 è così apprezzato a livello mondiale, una buona parte del merito è anche di Satoshi Kon e del suo splendido lavoro.
In chiusura, vi lasciamo alla nostra recensione dell’anime Welcome to Demon School, Iruma-kun!.
#INBREVE
PAPRIKA IN BREVE: UN SOGNO CHE NON FINISCE MAI
Paprika è l’ennesima testimonianza di come Satoshi Kon sia stato in grado di delineare, nel corso della sua carriera, un filo narrativo che permette sia di raccontare sia la psiche delle persone, sia legarsi a tematiche di attualità che ci riguardano in qualche modo. La tematica del sogno, tema ricorrente del cinema, diventa l’escamotage per scrivere una storia che cerca di porci a riflettere sulla tecnologia che ci sta intorno e sulle relazioni sociali che costruiamo grazie ad essa. Tuttavia, essa è anche un segno di riconoscenza nei confronti della settima arte, che amplifica la nostra capacità di sognare ed esplorare mondi lontani, alimentando la nostra fantasia. La capacità del regista di trattare di trattare storie attuali è il simbolo di come il cinema può essere un mezzo per affrontare tematiche difficili, ma che ci permettono di riflettere sul mondo che viviamo.
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