Attack on Titan – The Final Chapters Special 2: una conclusione che convince a metà
The Final Chapters Special 2 sfrutta la lotta contro il Fondatore per omaggiare il passato della saga e veicolare riflessioni sul rapporto tra libertà e prigionia, ma, nel complesso, non risulta all’altezza delle aspettative.
Dopo più di dieci anni dalla serializzazione del primo episodio – era il lontano 7 aprile 2013 –, l’anime di Attack on Titan si è concluso con The Final Chapters Special 2, comprendente La battaglia tra cielo e terra, Un lungo sogno e Guardando verso quell’albero sulla collina. Il macro-episodio, della durata di un’ora e ventiquattro minuti, è disponibile su Crunchyroll da domenica 5 novembre 2023.
Giunta alla resa dei conti, la storia imbastisce uno scontro totalizzante, durante il quale i protagonisti (e il mondo intero) vengono sottoposti a una pressione senza precedenti. Tuttavia, ciò non deve suggerire che la componente action vada a scapito della psicologia – semmai è il contrario: basti pensare al coronamento delle riflessioni sulla libertà, sull’inconoscibilità e soprattutto sulla guerra, a cui si aggiunge uno sguardo scanzonato sull’interiorità dei personaggi. Altrettanto riusciti sono i numerosi riferimenti al passato della saga.
Il problema è un altro. Conosciamo tutti la qualità del manga di Hajime Isayama e del relativo adattamento animato dello Studio MAPPA, ma il finale, come cercheremo di dimostrare in questa recensione, non risulta all’altezza delle aspettative: i difetti sono gli stessi degli ultimi dieci o quindici episodi, seppur più invalidanti. Una macchia in un’opera pressoché perfetta? Probabile, pur nella consapevolezza che la delusione dipenda non dagli standard qualitativi nella loro accezione generale, bensì dallo spessore a cui Attack on Titan ci ha abituati; e ha dell’ironico come The Final Chapters Special 2 rifugga perfino dall’immancabile logo.
Onde evitare accuse verso questa recensione – «Attack on Titan è un’opera perfetta, non ne avete capito il senso, state facendo clickbait» –, riportiamo le parole di Isayama stesso. «La situazione di Eren è paragonabile alla mia carriera» ha dichiarato. «La storia veniva letta e guardata da moltissime persone. […] Avrei voluto cambiare il finale, perché la libertà dovrebbe essere la prerogativa in fase di scrittura. […] Purtroppo, però, sono rimasto vincolato da ciò che avevo immaginato quando ero giovane. Ecco perché il manga è diventato ristrettivo per me, proprio come Eren col suo Gigante».
Critiche a parte, la storia di Eren, Mikasa e Armin continuerà a influenzare l’immaginario collettivo, rappresentando uno dei prodotti meglio riusciti di sempre. Siamo davvero curiosi di scoprire cosa ci riserverà il futuro, così come l’artbook FLY realizzato dal mangaka stesso. A proposito, avete già visto la cover de L’attacco dei giganti 35?
Scontro totalizzante
Attack on Titan – The Final Chapters Special 2 mostra uno scontro totalizzante, che, prefigurato dagli episodi precedenti, innalza il conflitto interno a un livello inaudito. Ogni persona è a rischio; e non ci riferiamo soltanto ai due schieramenti – Eren da un lato, Mikasa, Armin e tutti gli altri dall’altro –, ma anche all’umanità stessa e al mondo conosciuto.
Il tutto è veicolato dalle ottime animazioni dello Studio MAPPA. Le scene d’azione sono fluide e mai ridondanti, quelle in computer grafica ridotte al minimo. Peccato per le espressioni dei personaggi (spesso grottesche, e nell’accezione negativa del termine) e per le musiche: brani come Splinter Wolf, ətˈæk 0N tάɪtn e theDOGS sono entusiasmanti, ma collocati in momenti inopportuni e poco legati alla rinnovata maturità dell’opera, soprattutto nel loro appellarsi a emozioni “adolescenziali”.
Veniamo ai difetti: lo scontro finale viene suddiviso in svariate tappe, le quali, ben congegnate nella loro natura e consecuzione, risultano però carenti, frettolose. Basti pensare a quello scontro, un’opportunità per raccontare il momento più epico della saga che, invece, si riduce a una mera istantanea. Oltre alla mancanza di un rapporto di causa-effetto (derivante da un’altrettanto fallace strategia dei personaggi, che si limitano a sottolineare la difficoltà del compito senza usare la testa), si avverte la sensazione di assistere alla superficie, e non al contenuto. Niente a che vedere con la lotta contro il Gigante Femmina nella prima stagione, o col Gigante Corazzato e il Gigante Colossale nella seconda. Perfino i personaggi – eccezion fatta per Armin e Ymir, i veri protagonisti dell’ultima parte – appaiono tutti uguali e spersonalizzati.
Insomma: un arco narrativo vuoto, come i gusci originati dal corpo del Fondatore. Un ciclico omaggio alla “ristrettezza” dei primi volumi? Un rapporto inizio-fine, come approfondiremo nella prossima sezione? No, la spiegazione non basta.
Forse la dinamica è spiegabile attraverso la serializzazione del manga, perché Hajime Isayama ha adottato una (errata) doppia strategia: racchiudere tutto lo scontro finale in un unico volume, il 34; mantenere le simbologie ed evitare di diluire la narrazione in un ipotetico altro albo. Con simbologie numeriche intendiamo il conclusivo volume 34 (le teorie alludono a significati puntuali, ma basti pensare all’addizione 3+4=7) e capitolo 139 (perché 140, in Giappone, è sinonimo di libertà – la stessa che Eren non ha mai raggiunto).
Ancor più gravi, però, sono due elementi: la facilità e la prevedibilità.
Riguardo il primo punto, il nemico non è mai stato tanto arrendevole, quando invece avrebbe dovuto essere aggressivo come non mai; senza contare la mancanza di perdite significative, con personaggi che fin troppe volte fingono di morire per poi sopravvivere, azzerando ogni forma di coinvolgimento – no, l’idea che siano diventati fortissimi dopo tutti gli ostacoli superati non convince. «Una morte significativa avrebbe complicato il finale» suggerirebbe chi ha già visto l’episodio: vero, ma Isayama è un maestro nel tentativo di trovare soluzioni innovative. Ecco perché non ha senso fasciarsi la testa ancor prima di rompersela.
Riguardo il secondo punto, invece, tutto si svolge esattamente come previsto. «Non dare mai allo spettatore quello che si aspetta, non dare mai allo spettatore quello che si aspetta nel modo in cui se lo aspetta» recita un principio della narratologia. L’introduzione di elementi di perdita durante il conflitto avrebbe aumentato il coinvolgimento, ma, come dicevamo, il finale è paradossale nel non presentare morti significative.
In compenso, risulta efficace nella sua non-risoluzione. La parzialità è in linea con gli eventi passati, a dimostrare la portata del conflitto interno, la verosimiglianza a cui Isayama ci ha abituati e un sapore bitter-sweet, perfetto per arricchire la pienezza dell’opera.
Il cerchio si chiude
L’opera di Isayama è rinomata per i suoi parallelismi – basti pensare a quello tra gli assedi di Shiganshina e Marley, o tra i percorsi di Eren e Gabi –, e il finale non fa eccezione. I giganti originati dal corpo scheletrico del Fondatore, uniti alle fasi oniriche mostrate in Guardando verso quell’albero sulla collina, sono perfette nel ripercorrere i punti salienti della storia e diluirli fino all’ultimo episodio.
A ciò si aggiungono le frasi e le micro-azioni che chiudono gli archi trasformativi. Se, da un lato, le frasi risultato ridondanti, le micro-azioni omaggiano al meglio il percorso di Pieck, Reiner e i caduti dell’Armata Ricognitiva, mentre altri personaggi vengono sapientemente eclissati: è il caso di Connie, lontano dal tanto atteso sviluppo virtuoso, o di persone che, pur godendo della nuova società, non si redimeranno. Così l’autore potenzia non soltanto lo sviluppo interiore, ma anche (e soprattutto) la verosimiglianza del racconto.
«Con il potere del Fondatore» afferma Eren, «non esiste più né passato né futuro. Esistono entrambi nello stesso momento». È questa la sensazione imperante nell’episodio conclusivo, allineandoci alle frequenze del protagonista/antagonista e di coloro che ne sondano le ragioni.
Ma il parallelismo principale riguarda l’inconoscibilità, che analizzeremo nella prossima sezione.
Inconoscibilità
Ricordiamo benissimo gli interrogativi sulla natura dei giganti, sul mondo al di fuori delle mura e sul segreto nella cantina di Eren. Col procedere della storia, molti nodi sono stati sciolti; e questo scioglimento ha garantito al Corpo di Ricerca sopravvivenza e libertà, oppure di poter compiere (letteralmente) passi da gigante. Tuttavia, alcuni esiti del patto di Ymir rimangono ignoti: credere il contrario sarebbe presuntuoso. Ecco perché omaggiare la prima parte del manga contempla il tema dell’inconoscibilità.
Lo scontro finale richiede la padronanza della scacchiera, ma svariati elementi sfuggono alla comprensione dei protagonisti. «È quello» dice Mikasa. «Quel gigante a forma di maiale o quel che è». Annie aggiunge: «Quale dovrebbe essere tra i Nove Giganti? Il Carro? No, forse il Bestia, o forse il Mascella… Non ci capisco niente!» Altrettanti dubbi traspaiono dalla collaborazione dei giganti, dal mostro bianco e molliccio che emerge dal corpo di Eren («Ma si può sapere che diamine è?», «Questo non lo so. So soltanto che non dobbiamo lasciarlo in vita»), dal passato di Ymir («Be’, questo lo sa soltanto la fondatrice Ymir») e dalla sua importantissima scelta.
Soprattutto, l’inconoscibilità emerge dalla conversazione tra quei personaggi durante Un lungo sogno. Il primo si apre in una lunga, tecnica spiegazione su come la vita non abbia senso e scivoli nella morte. Difficile ribattere a una tesi così articolata; ma il secondo personaggio vince, e senza tirare in ballo né antitesi né riferimenti alla biologia, alla psicologia o alla natura umana: gli basta ricordare un momento dell’infanzia, così vivido e significativo nella propria insensatezza. Come spiegare la gioia? Come spiegare quei momenti che, a dispetto delle disgrazie, ci spingono ad andare avanti? Nessuno può saperlo. La non-razionalità e l’esperibile trionfano sulla razionalità e il ragionamento, con tutte le domande senza risposta che ne derivano. Altrettanto sorprendente è come la bellezza sbocci in un mondo tanto orribile. Tuttavia, la disillusione ha il suo scopo: un mondo senza morte risulta imperfetto, come suggerisce l’esperienza della fondatrice.
La conversazione ha l’ulteriore vantaggio di omaggiare il “primordio della vita” e – insieme al mostro bianco e molliccio – l’Hallucigenia, animale marino così centrale in Attack on Titan. «L’obiettivo della vita è moltiplicarsi. Questa sabbia, o le pietre, o l’acqua, non provano neanche a farlo. Le forme di vita, invece, continuano a farlo imperterrite». Al contrario, Jean non vuole arrendersi «neanche quando dovremmo».
Infine, inconoscibile è il mondo interiore di Eren – addirittura per il personaggio stesso. Basti pensare al rapporto coi sentimenti («Neanche io so cosa farò con Mikasa») e con gli obiettivi verso l’umanità e gli amici. «Un normalissimo idiota che ha ottenuto un potere enorme», ecco il suo unico punto fermo. Senza contare gli effetti del boato: cos’è giusto, e cosa sbagliato? Né il lettore né il finale della saga veicolano una risposta precisa, perciò l’inafferrabilità riguarda soprattutto il piano ideologico.
Libertà (fisica e psicologica)
Di fronte al mondo sconosciuto, non sorprende che i nostri eroi maturino il desiderio di scoperta. Il tema della libertà risale alla scena iniziale del primo episodio, ma ora, giunti alla resa dei conti, appare chiaro che il concetto esuli dal piano fisico: riguarda soprattutto lo spirito dei personaggi e dell’umanità intera.
Varcare il Wall Maria significava non soltanto uscire dal confine territoriale e indagare sulla natura dei giganti, così da riconquistare i territori persi; significava anche ammirare la bellezza del mondo, rinsaldare il legame col prossimo, scoprire parti inedite di se stessi. «Noi del Corpo di Ricerca siamo dei sognatori» realizza Jean. «Dei testardi che non si arrendono mai»; ed è proprio la creatività a lanciare un messaggio di speranza, a suggerire come il mondo, nonostante gli orrori che lo popolano, possa innalzare la vita sulla sopravvivenza.
Da sempre Armin si fa portatore del principio. Un bambino dagli occhi ampi e luminosi, che sogna nel leggere di fiumi di lava e laghi a perdita d’occhio. Venti anni dopo, lo scenario è mutato radicalmente. «Dove sarebbe la libertà di cui parli?» chiede all’amico, a sottolineare la discrepanza tra concretezza e astrattezza.
Lo stesso vale per Eren: nel vivere la sua parabola conclusiva, abbandona la recita per svelare il suo lato più intimo, aprirsi in una dichiarazione di intenti attraverso un gesto di meta-comunicazione che, all’interno della saga, non ha precedenti. Inutile mantenere lo status quo della vicinanza psicologica nei confronti del trauma, o di una “incomunicabile idea superiore”. Quest’ultima viene ben rappresentata dal Fondatore, che sottolinea l’errato paragone tra una dote e un fardello dalla difficile gestione.
Perché la libertà è proprio questo: allontanarsi dal ruolo che ci è stato affidato, per scoprire il più congeniale alla nostra natura. Nonostante i vincoli famigliari, gli amori impossibili e la necessità di simulare, sappiamo sempre qual è la strada giusta per noi; e il protagonista decide di intraprenderla, rincuorato e spaventato dalla fine imminente.
La storia, però, sceglie con saggezza di avvalorare il fronte opposto: i vantaggi della prigionia. Così testimonia un personaggio: «Forse diventiamo liberi soltanto dopo, quando terminiamo i nostri giorni manipolati dall’obbligo di moltiplicarci che ci siamo imposti senza nessun motivo». Che senso ha raggiungere la massima manifestazione del pensiero e uscire dalle mura? I rischi sono troppi. In questo modo, The Final Chapters Special 2 esprime l’ipotesi che, in ultima analisi, rimanere segregati a Paradis e in uno stato mentale ristretto sarebbe stato meglio. Questo vale per Eren, per i membri dell’Armata Ricognitiva e soprattutto per Grisha, l’artefice del ciclo iniziato trentasette anni prima.
In conclusione, il muro è ben più del Wall Maria.
Ciclicità della guerra
Opposta alla liberà, abbiamo la dinamica trasmessa dalla non-risoluzione qual è il finale dell’anime: la ciclicità della guerra, riguardante le scene che vengono mostrate subito prima, durante e dopo i titoli di coda.
Gli scontri giungeranno mai al termine? Lo spirito bellico è, in ultima analisi, una parte intrinseca dell’animo umano? Sono queste le domande sollevate da The Final Chapters Special 2, e sulla scia dell’inconoscibilità imperante. Nessuno sa come rapportarsi al conflitto. Un bambino che, di mano in mano, viene allontanato dal baratro lancia un messaggio di speranza, così come una lancia fulmine scagliata sul volto di Eren per estrarne il genocida. Il paradosso viene anticipato dal discorso tra quei personaggi, dove il primo brama un’indisciplinata creazione, il secondo una congegnata distruzione. «Un giorno, tutti noi riusciremo a capirci a vicenda» dice Armin, ma «l’unica lezione che resterà è “uccidi o vieni ucciso”». Altrettanto paradossale è il rapporto tra indulgenza ed estremismo: le strategie altruiste portano alla pace, oppure a una guerra ancora maggiore?
Se un punto fermo dev’essere trovato, è la responsabilità di ogni individuo. Eren si prende tutta la colpa, definendosi «un normalissimo idiota che ha ottenuto un potere enorme», mentre Armin la pensa diversamente. «Sono certo che questa conclusione non è frutto solo delle scelte di Eren. Questo mondo è il frutto delle scelte fatte da ognuno di noi»; pensiero che ha perfino ripercussioni narratologiche, “spodestando” il protagonista Eren in favore degli altri.
Questo, però, non significa che ogni combattente verrà ricompensato in base al proprio contributo. La guerra di Attack on Titan è sempre stata fondamentalmente ingiusta, lontana da qualsiasi legge del contrappasso. Lo dimostra la discrepanza tra Marlo e Hitch, così come il destino di Mikasa, Connie, Gabi e tutti gli altri. L’unico modo per conferire merito è il ricordo, veicolato dal toccante monologo di Levi.
D’altra parte, la realtà rinnova la disgrazia con intuito e un pizzico di ironia. Lo dimostra l’ultima scena dell’anime, con tutte le fantasiose, terribili previsioni che ne derivano… Perché la guerra rimane invariata, ma non le peculiarità che la contraddistinguono.
A proposito: per fare un tuffo nel passato, non perdetevi la nostra recensione di Attack on Titan – The Final Chapters Special 1.
#INBREVE
Attack on Titan – The Final Chapters Speical 2 imbastisce uno scontro totalizzante, che, per quanto valorizzato dalle animazioni dello Studio MAPPA, non risulta all’altezza delle aspettative: basti pensare all’arrendevolezza del nemico, o al mancato rapporto di causa-effetto. In compenso, la conclusione chiude nel migliore dei modi gli archi trasformativi e veicola stimolanti riflessioni sull’inconoscibilità (con particolare riferimento al rapporto tra razionale e irrazionale), sulla libertà (sempre più emotiva ed evolutiva) e sulla ciclicità della guerra (la quale, rifuggendo dalla legge del contrappasso, sonda le responsabilità di ogni individuo). Un finale imperfetto che rimarrà comunque nei nostri cuori.