Siamo nel vivo della stagione autunnale: la natura ha abbandonato il verde cangiante dell’estate per sfoggiare incantevoli tonalità di ambra, porpora, ocra e arancio, dando vita a tele meravigliose (e super instagrammabili!).

Chi di voi non ha ancora avuto l’occasione di immortalare il foliage di quest’anno? Mentre aspettate l’occasione giusta per lo scatto perfetto, immergiamoci nella storia del momijigari, il foliage giapponese, e andiamo a scoprire cosa ci cela dietro il suo significato.


Cos’è il momijigari?


Come tante altre cose, il foliage non è certo un’esclusiva dell’Occidente. Anche in Giappone si celebra questo spettacolo della natura. Quando il freddo sopraggiunge e l’ambiente cambia palette, gli abitanti delle città si riversano nei parchi e nelle campagne, organizzano gite nei boschi, in montagna o in luoghi dove è possibile ammirare la metamorfosi dell’ambiente circostante. Questo fenomeno è conosciuto come momijigari.

Il termine Momijigari ( 紅葉狩り) si compone delle parole momiji (紅葉), “foglie rosse” o “albero di acero” e kari (狩り) che significa “caccia”, e letteralmente si traduce in caccia alle foglie rosse”.

In Hokkaido è noto anche come kanpūkai (観楓会) e sta a dire “andare a vedere a vedere le foglie insieme”. Non molto diversamente dalla tradizione dell’hanami (花見), che celebra la fioritura dei ciliegi in primavera, il Momijigari consiste nel recarsi in luoghi dove è possibile ammirare il paesaggio autunnale, nel periodo che va dalla fine di ottobre ai primi di dicembre.

Le radici di questa pratica sono antiche, con diversi riferimenti anche nella letteratura classica giapponese e riflette il concetto di wabi-sabi (侘び寂び) che permea buona parte della filosofia estetica giapponese: la vera bellezza sta nella semplicità, nell’imperfezione e nell’impermanenza delle cose.


Origini e significato culturale


I primi riferimenti alla caccia alle foglie risalgono al periodo Nara (710-794). Nelle pagine del Manyoshu, la più antica raccolta di poesie giapponesi waka compilata durante questo periodo, troviamo diversi testi poetici dedicati proprio al foliage. In particolare vengono fatte menzioni delle foglie autunnali, etichettate con il termine momichi (黄葉), ovvero “foglie gialle”.

Successivamente, durante il periodo Heian (794-1185), epoca cruciale per la fioritura culturale giapponese, scrittori e poeti fanno frequenti riferimenti a escursioni nei paesaggi autunnali per ammirare i colori delle foglie. Si trovano esempi di queste esperienze nei nikki (日記, diari di viaggio) di giovani aristocratici, che raccontano le loro peregrinazioni nei boschi, dove era possibile contemplare il cambiamento della natura. A differenza dell’epoca precedente, la nobiltà prediligeva le foglie rosse a quelle gialle e iniziò pertanto a riferirvisi col termine “momiji” (紅葉, foglie rosse).

Troviamo altri riferimenti in opere fondamentali della letteratura giapponese dell’epoca come il Genji Monogatari di Murasaki Shikibu. In quest’ultima opera in particolare, l’autrice si sofferma sulle descrizioni dei paesaggi autunnali e dei cambiamenti della natura, con l’intento di porre enfasi al concetto di mono no aware (物の哀れ), la sensibilità verso la transitorietà delle cose attraverso l’osservazione della natura:

“Quando i colori delle foglie d’acero cominciarono a virare al rosso, Genji si recò in montagna, dove la bellezza del paesaggio lo colpì profondamente. Era un altro di quei momenti in cui il cuore, preso dalla consapevolezza della fugacità della bellezza, non poteva fare a meno di provare un’emozione dolorosa e dolce allo stesso tempo.”

“La storia di Genji”, di Murasaki Shikibu

 

Ma perché queste escursioni sono state definite “cacce”? Nel periodo Heian, nonostante fosse molto apprezzata la pratica di recarsi nelle montagne e nei boschi per contemplare il foliage autunnale, l’atto di camminare era considerato poco elegante dalla nobiltà.

Per evitare l’idea di una passeggiata ordinaria, l’aristocrazia preferiva parlare di “cacciare” le foglie rosse, anziché semplicemente “andare” a vedere il foliage. Il termine momijigari rifletteva quindi una pratica che trascendeva la semplice osservazione, sottolineando l’idea di un’attività più raffinata e ricercata.

Momijigari
Ukiyo-e di Utagawa Kuniyoshi raffigurante delle nobili durante il momijigari

In effetti, in alcuni testi letterari si suggerisce che durante il momijigari i nobili non si limitassero solo a passeggiare e osservare: spesso raccoglievano e maneggiavano le foglie vermiglie cadute a terra o i rami degli alberi, considerandoli quasi come trofei. Pur essendo apprezzata come pratica durante il periodo Heian, la caccia alle foglie non era ancora un evento pubblico formalizzato, ma piuttosto una consuetudine privata tra la nobiltà.

Era infatti frequente che i nobili organizzassero vere e proprie gite di gruppo, accompagnate da incontri di poesia, in luoghi come il Kiyomizu-dera o il Tofuku-ji, o nei boschi e nelle montagne circostanti. Durante queste escursioni, dopo aver contemplato i colori autunnali, si dedicavano alla composizione di waka e haiku, combinando l’apprezzamento della natura con riflessioni filosofiche sulla transitorietà della vita e della bellezza.

Questa tradizione, che già nel periodo Heian assumeva una forma raffinata e simbolica, si estese e si trasformò nel corso dei secoli. Con l’arrivo del periodo Edo (1603-1868), un’epoca di stabilità e prosperità, anche i comuni cittadini iniziarono a recarsi in questi luoghi per godere del foliage autunnale e i mercanti più abbienti e facoltosi organizzavano banchetti sopra le foglie di acero.

Proprio da allora, il momijigari divenne un’attività goduta anche dalla gente comune che, col proposito di “cacciare le foglie”, organizzava visite a Ise e pellegrinaggi a Kumano.

Vediamo altresì in questo periodo la pubblicazione del Kadanchi Kinsho (香談地錦書), un manuale botanico, ma anche un tipo di guida che esplorava vari luoghi di interesse in Giappone, descrivendo la flora locale e le caratteristiche naturali che potevano essere ammirate in diverse stagioni dell’anno.


Momijigari Oggi


Nel Giappone contemporaneo il Momijigari è una tradizione che viene vissuta con grande fervore, e ogni anno visitatori giapponesi, ma anche internazionali, si disperdono nelle aree verdi per immergersi nello spettacolo autunnale che la natura ha da offrire.

Momijigari
Foglie di Acer Japonicum

Come specificato sopra, il termine momiji sta a significare non solo “foglia rossa”, ma anche “acero giapponese”, ovvero l’Acer Japonicum, maggiore protagonista del Momijigari. Ma non certo l’unico.

Tra le attrazioni più amate della tradizione, spiccano anche il Ginkgo, con le sue foglie a ventaglio che si tingono di un giallo dorato brillante, la Zelkova, il ciliegio autunnale e la quercia. Questi alberi, ciascuno con la sua bellezza unica, offrono una straordinaria tavolozza di colori che arricchisce il panorama autunnale giapponese.

Ma da dove partire per ammirare questo foliage?
Il momijigari inizia solitamente nella regione dell’Hokkaido. Qui le foglie cambiano colore già a fine settembre tingendo i paesaggi con il loro caratteristico rosso vermiglio.

Le mete più ambite in questa regione sono il Parco di Daisetsuzan e la stazione termale di Jozankei, quest’ultima una vera perla e coccola: cosa può esserci di meglio di una onsen immersa nella natura che cambia colore?

A seguire più a sud, poco lontano da Tokyo, c’è Nikko dove già a metà ottobre e inizio novembre si possono osservare le montagne circostanti cambiare d’abito e indossare le sgargianti vesti autunnali; e la magia si estende fino ad abbracciare il Lago Chuzenji, le cascate di Nikko e famosi templi e santuari, come il celebre Toshogu Jinja.

Non si può non menzionare Kyoto, che più di ogni altra meta incarna lo spirito del Momijigari. Questo è del resto il luogo dove la tradizione della “caccia alle foglie” ha avuto origine e si è sviluppata, come abbiamo visto. Qui il paesaggio autunnale raggiunge il suo massimo splendore, con il Tempio Kiyomizu-dera e il Tofuku-ji tra le destinazioni più ambite da turisti e dai giapponesi stessi.

Sebbene siano mete iconiche, sicuramente tra le più fotografate e visitate al mondo, il fascino del Momijigari si respira in ogni angolo del Giappone. Ogni via, ogni albero, ogni fiume racconta una storia e offre una bellezza unica da contemplare, che merita di essere scoperta e vissuta.

Il lato goloso

Il Momijigari non è solo un’esperienza visiva, ma anche un’occasione per assaporare tradizioni culinarie legate alla stagione. Un esempio è la tenpura di foglie della varietà Ichigyouji, un piatto delicato che esalta il sapore autunnale. Oppure i deliziosi Momiji Manju, dolci tipici di Miyajima a forma di foglia di acero e ripieni di anko, la dolce pasta di fagioli rossi. Questi golosi dolcetti rappresentano un perfetto connubio tra la bellezza naturale e il gusto della tradizione.


Momijigari e filosofia giapponese


Grazie a Internet, alla cultura pop e ai media, il Momijigari è diventato un evento di portata internazionale. L’osservazione del foliage autunnale e dei famosi aceri rossi ha acquisito una celebrità paragonabile a quella dell’hanami, diventando un appuntamento apprezzato a livello globale.

Nonostante ciò il suo cuore rimane, per chiunque decida di goderne, un’occasione per riflettere sulla bellezza effimera della natura. Un momento di connessione profonda con essa e di apprezzamento per la sua imperfezione e transitorietà. Ed è esattamente in questo che coincide il concetto di wabi-sabi (侘び寂び): la natura, con la sua transitorietà e con il suo essere imperfetta, ci ricorda cos’è la bellezza pura e semplice.Momijigari

Sia il Momijigari che l‘Hanami sono legate a un profondo rispetto per i cicli naturali e alla consapevolezza che la bellezza, in ogni sua forma, è fugace e transitoria. Nonostante ciò, le festività fanno riferimento a due fasi di vita completamente opposte. Mentre l’Hanami è simbolo di vita, rinascita e speranza, il Momijigari celebra la maturità e la decadenza della natura e della vita stessa.

Da pratica esclusiva e aristocratica a fenomeno popolare, il Momijigari rappresenta ancora una via per connettersi con la natura e con l’essenza della filosofia giapponese, oltre che un modo per scoprire dei lati meno conosciuti della sua cultura. Che si tratti di una passeggiata nei boschi, di una riflessione filosofica o di una semplice foto da condividere, questa ricorrenza ci invita a fermarci e ad ammirare ciò che è caduco, rendendo omaggio alla bellezza della natura e della vita stessa.

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