“Can’t Raise ‘Em All”: la figura genitoriale nei Pokémon

Il mondo dei Pokémon, negli anni, è diventato un universo sconfinato. Spaziando dalla costruzione di apparati mitici e folkloristici alla sovrapposizione di storie e rimandi ai capitoli precedenti,  negli ultimi anni si è aperto alle infinite possibilità del topos narrativo del multiverso. Nonostante ciò, alcune caratteristiche dell’universo Pokémon sono rimaste immutate.


Il viaggio dell’eroe


La prima storica schermata di introduzione ai giochi Pokémon.

I giocatori di questo sconfinato franchise negli anni hanno imparato a riconoscerne le caratteristiche fondamentali: un bambino si avventura in un mondo fantastico per catturare delle creature, combattere contro altri possessori di tali creature, sconfiggere i più forti tra loro fino a diventare il più forte di tutti. Questa, insieme al catturare tutte le creature presenti in questo mondo (il proverbiale “gotta catch ‘em all”) è la struttura fondamentale del mondo in cui si ambientano i giochi Pokémon.

E la trama? Gli avvenimenti di un gioco Pokémon, in termini di struttura narrativa, si potrebbero riassumere nel concetto narratologico di “viaggio dell’eroe”: l’eroe di una storia si separa dal luogo che conosce come suo, viene iniziato a un mondo alieno, affronta delle peripezie e poi ritorna a casa [1]. Suona familiare, senza dubbio.

I vari protagonisti della serie condividono infatti il lasciare casa, giovanissimi, combattere forze ed entità di varia natura, sconfiggere le avversità (siano queste il team di criminali di turno o il campione della Lega) e, senza esclusione, arrivare alla conclusione del gioco nell’esatto posto in cui il gioco è cominciato: la casa dei genitori


La costante secondaria: aiutanti magici e mentori


Qualche tempo fa avevamo parlato di come questa ripetitività, che si riflette anche nelle meccaniche di gioco, possa essere diventata un punto debole del franchise. Questo aspetto è inevitabilmente vero, e ha portato molti fan del franchise a distanziarsene. Allo stesso tempo, molti altri restano fortemente legati alle meccaniche immutate del gameplay dei giochi Pokémon proprio per la sicurezza che danno al giocatore, che in questa maniera sa cosa aspettarsi. 

Ciò che ne consegue è che nei giochi Pokémon anche i personaggi che contornano il viaggio dell’eroe siano spesso un archetipo ricorrente. Il Professor Pokémon, ad esempio, ricopre la figura del mentore, così come il rivale ricopre quella, alternativamente, di ostacolo e aiutante “magico”, nel suo ruolo chiave di fornire spesso e volentieri i mezzi al protagonista per la progressione durante il gioco.


I grandi esclusi: mamma e papà


Abbiamo tutti, chi più chi meno, familiarità con i grandi archetipi del mondo Pokémon. Per questo motivo nessuno resterà sorpreso se si sottolinea il fatto che i genitori del personaggio protagonista sono i grandi esclusi.

L’amorevole sguardo di un padre, nell’artwork di Rubino Omega/Zaffiro Alpha

Nella maggior parte dei giochi, la madre, che solitamente non possiede un nome ed è solo “‘mamma”, è il primo personaggio con cui si interagisce nel gioco. Tuttavia, le uniche due azioni che compie sono (a volte) la spiegazione dei comandi base e la consegna delle mitiche “scarpe da corsa”.

Per quanto riguarda il padre, si tratta di una figura completamente assente o, al massimo, appena accennato dalla madre con riferimenti vaghi circa le motivazioni che lo portano ad essere completamente assente dalla vita del figlio/a.

Per quanto sia vero,  va detto che esistono delle eccezioni, come Norman, padre del/la protagonista nei giochi della serie Rubino/Zaffiro/Smeraldo e Capopalestra di Petalipoli, o Johanna, la madre nei giochi Diamante/Perla/Platino che ha un passato da coordinatrice Pokémon.

Stante questi fatti, la relazione con la loro prole rimane fortemente marginale e limitata al più ad una sfida, che resta soltanto una porzione della storia del protagonista, e solitamente non troppo significativa.

Prendiamo Norman ad esempio. I giochi lo definiscono come “un uomo per il quale la potenza è tutto”. Veniamo a sapere dalla madre che si trova sempre nella sua palestra e che torna raramente a casa, nonostante sia la città limitrofa alla cittadina dove risiedono la madre e il protagonista.

Inoltre, quando il/la protagonista interagisce con Norman, le sue parole sono sempre permeate da un senso di severità, lasciando intendere tra le righe come anche l’amore per il figlio/ la figlia sia subordinato a quanto quest’ultimo/a sappia allenare i propri Pokémon.


Niente genitori, niente regole


Quella che risulta quindi è una raffigurazione del genitore come figura secondaria al compimento del viaggio dell’eroe. Il genitore femminile rappresenta la casa, il luogo da cui distanziarsi e cui tornare solo dopo il compimento del viaggio. La figura paterna, invece, si stabilisce come un’assenza, che però non influisce sul/la protagonista, ma anzi, tranne in alcuni casi, è fondamentalmente inutile allo sviluppo del personaggio nel gioco.

A tale proposito, in un saggio riguardante la prima storica serie animata, Cary Elza suggeriva come il mondo dei Pokémon avesse una grande attrattiva sui bambini proprio per il fatto che è un mondo in cui l’autorità genitoriale è nulla, in cui sono i bambini stessi a dettare legge sulla base del potere che acquisiscono con la loro bravura nell’essere allenatori/allenatrici [2].

Tale analisi, per quanto colga la struttura di potere che sussiste nel mondo Pokémon (come parrebbe anche dall’ultimo adattamento anime in uscita a breve), non risulta abbastanza convincente nello spiegare il senso dell’assenza genitoriale. Perché  un universo in cui l’abilità nell’allenare i Pokémon determina il valore sociale precluderebbe la presenza di ruoli significativi delle figure genitoriali?

La risposta, forse, dovrebbe collocarsi non nel valore sociale della figura genitoriale ma, di nuovo, nel valore personale che assume per il personaggio e per il giocatore.


Your Own Adventure


Bisognerebbe innanzitutto dire che Pokémon, di fatto, è un RPG, per la precisione un JRPG (acronimo che sta per Japanese Role Playing Game). Una delle differenze che presentano i JRPG e che gli è valsa una denominazione specifica è sicuramente dovuta al fatto di essere molto concentrati sullo sviluppo del personaggio e sulla sua relazionalità.

Rachael Hutchinson a questo proposito sottolinea il fatto che l’assenza dei genitori non solo nei JRPG, ma in tutti i prodotti culturali giapponesi destinati a un pubblico di minori, sia una caratteristica talmente presente da essere diventato un vero e proprio fondamentale delle storie che hanno bambini o ragazzini come protagonisti [3].

Proseguendo nella sua analisi, Hutchinson individua varie motivazioni per la quale la configurazione del JRPG preveda l’assenza genitoriale. Una di queste sarebbe il fatto che i videogiochi, in quanto prodotti culturali rispecchiano in una certa misura la società in cui vengono prodotti [4]. Nel caso specifico dei giochi Pokémon, l’assenza o poca rilevanza dei genitori dipende dal fatto che nella società contemporanea si è visto una diminuzione dell’influenza esercitata dalla famiglia durante la crescita del minore.

Condizioni di lavoro che permettono di passare ben poco tempo a casa, unitamente alla necessità di avere più membri della famiglia con uno stipendio, ha inevitabilmente portato i bambini a passare molto meno tempo con i genitori, e in una certa misura a doversi “avventurare” nel mondo da soli.


L’avventura oggi


Quello cui si riferisce Hutchinson, tuttavia, è il periodo posteriore allo scoppio della bolla economica. Possiamo essere sicuri che questo paradigma sia ancora valido nel mondo contemporaneo?

Se da un lato risulta difficile parlare del contemporaneo con la stessa sicurezza di cui si parla di eventi storici, un dato risulta immutato, perlomeno nel mondo Pokémon. I genitori, anche negli ultimi giochi usciti, continuano ad essere figure assenti o marginali.

I personaggi continuano ad essere dei minori che si fanno strada nel mondo da soli, o con l’aiuto di loro coetanei e solo raramente di adulti, che giocano più un ruolo di pari che di effettivi mentori.

Che si tratti di una difficoltà del franchise di muoversi oltre la sua formula vincente, o che sia invece lo specchio di una situazione ancora presente nella società odierna, in ogni caso il viaggio dell’eroe, ancora oggi, è un percorso in cui l’unica reale compagnia è quella dei propri Pokémon.


Bibliografia


[1] Per maggiori approfondimenti sul tema del “viaggio dell’eroe”, cfr. J. CAMPBELL, L’eroe dai mille volti, trad. di Franca Piazza, Torino, Lindau, 2012.
[2] C. Elza, “We All Live in a Pokémon World: Animated Utopia for Kids”, in WEST, Mark I. , The Japanificafion of Children’s Popular Culture: From Godzilla to Miyazaki, Lanham, Plymouth, Scarecrow Press, 2008, pp. 56-59.
[3] R. Hutchinson, Japanese Culture through Videogames, London, New York, Routledge, 2019, p. 103.
[4] R. Hutchinson, Japanese… cit., pp. 121-124.

#INBREVE Uno sguardo alla serie dei Pokémon, guardando alle figure marginali: i genitori

Classe ‘98, Filippo Recaneschi si occupa di Giappone e di videogiochi. Crede nell’informazione e combatte gli stereotipi del Giappone “pop”, analizzando i videogiochi giapponesi con occhio critico.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *