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Intervista

Fiori di filo spinato: intervista con gli autori Maxem e Kizazu

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Fiori di filo spinato rielaborazione della copertina
Scopriamo insieme in questa intervista com’è nato Fiori di filo spinato e chi sono i suoi autori!

Oggi siamo qui per riportare l’intervista che abbiamo condotto con Maxem e Kizazu sulla loro opera Fiori di filo spinato. Questo fumetto tutto italiano è stato pubblicato a giugno 2024 da Edizioni BD.

Fiori di filo spinato

Copertina di Fiori di filo spinato

L’opera racconta la storia di quattro ragazzi siciliani che vengono coinvolti in una serie di vicende drammatiche. Primo tra di essi è Lenea, giovane liceale affetto dalla misteriosa malattia dei fiori. C’è poi Ema, sua compagna di classe e unica confidente. Infine, ci sono i due membri del gruppo ambientalista “Fiori di filo spinato”, che si fanno chiamare Vasco da Gama e Marco Polo.

I quattro inizialmente non si conoscono, ma per una serie di vicissitudini verranno tutti coinvolti nell’incendio della vicina riserva naturale. Dopo questo incontro inaspettato, Vasco da Gama si convince che Lenea sia immune alla sua malattia e che nasconda in sé la cura. Così, i quattro si uniscono sotto un unico raggio di speranza, che però si spegnerà presto.

Nell’intervista vedremo che la storia Fiori di filo spinato è ispirata a una zona geografica reale chiamata polo petrolchimico siracusano e situata in provincia di Siracusa. Tuttavia, senza mettere troppa carne al fuoco, lasciamo il posto alle parole degli autori.


Iniziamo questa intervista su Fiori di filo spinato con una domanda sui suoi autori: qual è stato il vostro percorso?


Kizazu. Inizio io. In realtà essendo esordienti questo è il primo volume che pubblichiamo, per cui non c’è molto da dire. Però, posso dirti come sono arrivata fin qui. Ho studiato all’Accademia di Belle Arti di Catania dove ho fatto sia triennio che biennio. Prima mi sono diplomata in Nuovi linguaggi della pittura e poi in Grafica, illustrazione e fumetto. Poi ho conosciuto Maxem e quando si è spostato a Bologna l’ho seguito, visto che già avevamo l’obiettivo di pubblicare. Avevamo già proposto il fumetto, ma senza successo. Quindi, abbiamo pensato che potevamo autoprodurlo, visto che è un ambiente molto ricco di possibilità, e ci siamo buttati.

Maxem. Anche io ho fatto il triennio a Catania in Accademia, in Grafica e illustrazione. Poi, dopo essermi laureato, sono venuto a Bologna e mi sono iscritto al corso a Linguaggi del fumetto, che devo ancora finire. Mi manca la tesi. In realtà abbiamo iniziato a lavorare al fumetto già a Catania, l’idea era mandare il primo capitolo alle case editrici, ma non è andata bene. Poi, alla fine, visto che era un progetto a cui tenevamo, ho detto a Kizazu: «autoproduciamolo a prescindere».


Quindi, quando avete poi trovato Edizioni BD che si è dimostrata disponibile a pubblicarvi, l’opera era già finita?


Maxem. No, noi volevamo produrlo in due volumi.

Kizazu. Ci sembrava che, dividendolo, sarebbe stato più facile lavorarci in due. Poi, parlando con la casa, editrice ci siamo resi conto che fare un unico volume avrebbe avuto più senso.

Maxem. Il primo volume autoprodotto era molto più sottile.

Kizazu. Tra l’altro, era anche in bianco e nero, a differenza di quello che poi è stato pubblicato, che è a colori.


Questo è molto interessante! Effettivamente in molte tavole ci sono ampie campiture scure, immagino che la cosa derivi da questa origine in bianco e nero, cosa che è particolare per un fumetto a colori.


Maxem. A poco a poco abbiamo autoprodotto questo primo volume e poi abbiamo fatto un trailer su Instagram. Era semplicemente un accostamento di pagine scollegate tra loro. Però è stato sufficiente a farci notare e un mese dopo Edizioni BD ci ha contattato. In un anno abbiamo firmato il contratto.


Quindi, è da quel momento che Fiori di filo spinato ha iniziato a prendere la forma attuale?


Maxem. Sì. Dopo che abbiamo firmato il contratto ho riscritto la storia. In effetti, il secondo anno di accademia mi è servito molto in tal senso: abbiamo fatto molti esercizi che hanno cambiato il mio modo di vedere le cose. Uno in particolare mi è stato molto utile: dovevamo realizzare una storia di quattro pagine dove il protagonista fosse un luogo. È stato da lì che ho capito che dovevo approfondire il posto in cui sarebbe stata ambientata la trama. Ho quindi iniziato a fare ricerche e ho individuato la provincia di Siracusa. Poi ho scoperto anche la riserva e così via. Nella versione autoprodotta il contrasto tra natura e zona industriale c’è, però era molto vago. Solo dopo aver trovato il polo industriale ha guadagnato il realismo che ha oggi.


Voi mi scuserete ma io non ho molta dimestichezza con la geografia siciliana. State dicendo che la trama si svolge in una località vera e propria?


Maxem. Sì, la storia è ambientata in provincia di Siracusa, principalmente in due paesi: Augusta e Priolo Gargallo.


Proseguendo con l’intervista, mi piacerebbe chiedervi: come siete arrivati all’idea che sta alla base di Fiori di filo spinato? Quali sono le motivazioni che vi hanno spinto a pubblicare un fumetto di questo tipo? Due domande che mi sono sorte abbastanza spontanee visto che comunque è un’opera che tratta temi di un certo spessore, che richiedono una certa presa di responsabilità. Scelta che immagino sia stata, in un certo modo, consapevole.


Kizazu. Sì, è così.

Maxem. Anche se in realtà la storia nasce da Lenea, il ragazzo che c’è in copertina nonché protagonista. Lei disegnava spesso questo ragazzo con dei fiori addosso. Ero davvero intrigato dal design e così, un po’ per scherzo, le ho detto: «se vuoi ci scrivo una storia sopra e realizziamo qualcosa insieme». All’epoca avevo già in mente di realizzare un fumetto completamente da solo, scrivendolo e disegnandolo io. In realtà, in Fiori di filo spinato, oltre a scrivere la storia, ho realizzato anche alcuni disegni, mi sono occupato dei flashback. Tutto il resto però lo ha fatto Kizazu. La realtà è che sapevo che solo lei poteva disegnare Lenea così com’era. Le ho detto: «io ti scrivo la storia e tu disegni, in fondo il personaggio è tuo ed è giusto che lo realizzi tu». Dopodiché, la prima cosa che che mi è venuta in mente era di creare subito un contrasto. Lenea era incredibilmente bello, quasi angelico, quindi calarlo in un contesto industriale mi sembrava perfetto. Del resto, era una cosa che avevo dentro già da un po’. Infatti, per un anno ho fatto l’operaio metalmeccanico e ci tenevo a inserire quell’ambiente nella storia. Anche perché per me è stata un’esperienza così forte che ho finito per licenziarmi e iscrivermi all’Accademia di Belle Arti di Catania.


Devo dire che questo tema, del contrasto tra seguire le proprie passioni e ciò che invece la società tenta di imporci, emerge molto bene. In tal senso credo che, oltre a essere una condizione molto comune tra i creativi (che personalmente comprendo molto bene), sia un po’ uno dei problemi che affliggono tutti i giovani italiani che si avvicinano al mondo del lavoro. Nell’opera si vede molto bene che tu l’hai vissuta sulla tua pelle.


Maxem. Sì, infatti ci tenevo a inserirlo. La convinzione che il luogo fosse quello giusto, poi, è arrivata man mano che facevo ricerche. Pensando al contrasto tra lavoro, salute e ambiente, il primo posto che mi venne in mente fu l’Ilva. Cercando, però, ho visto una foto di Priolo dove c’erano i bagnanti sulla spiaggia e il polo petrolchimico sullo sfondo. Mi è sembrato adatto.


Io stesso, dando per scontato che fosse un luogo fittizio, ho pensato che vi foste ispirati all’Ilva. Comunque, questo credo renda ancora una volta evidente come di fatto questi contesti siano diffusissimi nel nostro paese, in particolare al sud.


Maxem. La provincia di Siracusa da Catanesi la vediamo spesso andando al mare. L’autostrada che percorriamo per andare a sud è costruita proprio davanti al polo petrolchimico. In estate ci passavamo spesso, più volte all’anno. Nonostante questo, non ci siamo mai soffermati su cosa volesse dire vivere lì. Quindi mi son detto: «perché dobbiamo pensare a un luogo lontano come l’Ilva, quantomeno lontano per noi, quando abbiamo un posto simile qui vicino?» Più video vedevo, più interviste leggevo e più pensavo che fosse una situazione che dovevamo spiegare a quante più persone possibili. Fu proprio per questo che, la prima volta che ho fatto un sopralluogo, ho portato con me alcuni dei miei amici.


Quindi siete andati fisicamente sul luogo?


Maxem. Sì, più volte a dire il vero.


Avete anche intervistato persone che lavorano nel polo?


Maxem. La prima volta ho visitato la riserva. Ho parlato un po’ con il personale, la ragazza che la gestisce e un’altra guida. Mi hanno raccontato dell’incendio di qualche anno prima che poi abbiamo inserito nel fumetto.


Quindi il fumetto crea un retroscena per un evento realmente accaduto.


Maxem. Sì. Anche l’incendio mi è sembrato evocativo: quando sono andato. la riserva stava ricrescendo e i fenicotteri erano appena tornati. C’era un’atmosfera paradossale che mi affascinava moltissimo. Il contrasto poi era accentuato dal fatto che dentro la riserva ci fosse una centrale a metano.


Quindi è una zona messa a rischio dallo sfruttamento ambientale?


Maxem. In realtà, mi hanno spiegato che è la centrale che fa sopravvivere la riserva. L’area è un pantano sul mare da cui l’acqua defluisce facilmente. La centrale riversa acqua nella riserva che, così, resta una zona paludosa attraente per i fenicotteri e altri animali.

Fiori di Filo Spinato - Polo petrolchimico

Raffinerie ISAD, foto di una pagina del volume Fiori di filo spinato

Kizazu. È proprio un rapporto di dipendenza, in realtà.

Maxem. Esatto. Al di là del piano etico, è un rapporto che trovo molto interessante. Si tratta del rapporto tra uomo e natura. Comunque, successivamente sono tornato con lei, l’estate scorsa, per farle vedere la zona. Siamo arrivati con il treno da Catania e siamo scesi alla stazione di Priolo-Melilli. Il problema di quella stazione è che ti lascia proprio nel mezzo della zona industriale, che quindi abbiamo dovuto attraversare a piedi. Visto che non è facile orientarsi, abbiamo chiesto informazioni per raggiungere la riserva, però sembrava che la gente del luogo nemmeno sapesse dove fosse. Alla fine, abbiamo raggiunto questo pescatore che se ne stava proprio di fronte al polo petrolchimico. Abbiamo chiacchierato un po’ con lui e ci ha detto che era un ex dipendente di un’azienda che produceva eternit. Ci ha detto di essere andato in pensione prima per colpa di problemi di salute dati dalla lavorazione dell’amianto. Ci ha dato un passaggio fino alla riserva e nel frattempo ci ha raccontato anche di Marina di Melilli, un piccolo borgo marinaro che hanno distrutto per costruire gli impianti. La cosa mi colpì e decisi di metterla nel fumetto. Sto parlando della scena in cui Vasco da Gama e Marco Polo parlano sulla spiaggia. Penso che camminare in quei posti e parlare con la gente che vive lì ci sia servito per aggiungere un pezzo del puzzle dopo l’altro. È un luogo che ha davvero tanto da raccontare, ci sono perfino dei reperti archeologici.


Mettiamo un po’ di “gossip” editoriale in questa intervista parlando di com’è stato pubblicare Fiori di filo spinato. Avete dovuto affrontare molte difficoltà?


Kizazu. Diciamo che la difficoltà è iniziale, però se hai forte motivazione si può superare. All’inizio non ci voleva pubblicare nessuno però, come abbiamo detto, decidemmo di andare avanti lo stesso in autoproduzione. Iniziammo così a prendere il treno portandoci dietro la valigia porta-fumetti per andare alle fiere ad allestire il nostro banchetto. Questo ci è servito tantissimo. Se fossimo rimasti fermi e non avessimo lavorato al progetto realizzando la sua versione iniziale, che poi in realtà abbiamo rimaneggiato moltissimo, non saremmo mai arrivati a questo punto. In base alla mia esperienza, ognuno la vive diversamente del resto, l’importante è lavorarci comunque. Solo una volta che hai una bozza in mano puoi essere notato, se il prodotto è valido ovviamente. Anche l’esperienza che ci ha fornito questo periodo che ha preceduto la pubblicazione è stata fondamentale. Abbiamo avuto un riscontro da qualcuno di esterno a noi, come le persone che si avvicinavano. È stato un primo approccio alle persone.

Maxem. Un’altra difficoltà è capire il pubblico a cui rivolgersi. La mia prima idea era parlare ai giovani e ai ragazzi, che di solito leggono manga ma che al tempo stesso vorrebbero provare a leggere qualcos’altro. Noi leggiamo principalmente manga, quindi è naturale che i nostri disegni riprendano quello stile. La storia magari ha più sfaccettature, tuttavia anche in quell’ambito volevo che il volume avesse un’impronta da manga per ragazzi. Per questo il protagonista si trova in una situazione assurda e cerca di capirla. Pensandoci, però, i protagonisti sono sia il gruppo di ragazzini che i lavoratori. Quindi, immagino che alla fine volevamo coinvolgere entrambe queste fasce di pubblico. Non so se il target sia stato raggiunto, tutto sommato. Alle fiere, come Etna Comics, la nostra prima fiera, ci hanno avvicinato principalmente degli universitari.


Certamente identificare un giusto target è un compito difficile. È poi per quello che ci si affida alle case editrici, in fondo proporre sul mercato i prodotti alla giusta fascia di pubblico è il loro lavoro. Del resto, raggiungere un pubblico così giovane con un’opera dai temi così controversi e dolorosi è sicuramente complesso.


Maxem. Infatti, più scavavo in questa storia e più mi risultava doloroso leggere ciò che ha contribuito a creare un luogo del genere. Per questo Lenea mi è sembrato il filtro ideale per trasmettere tutta la negatività che stavamo ricevendo senza però appesantire la narrazione. In questo modo, sapevo di poter raccontare una storia come questa, con delle conseguenze così pesanti sulla salute delle persone. Attraverso questo escamotage ho potuto far conoscere una vicenda così complicata senza essere troppo drammatico. Anche perché, mentre eravamo a Catania, sono venute varie persone da quelle zone, che ci hanno raccontato cosa voglia dire vivere lì o avere in famiglia qualcuno che sta male per colpa delle industrie. Volevamo trasmettere tutto questo senza risultare troppo cupi.


Arriviamo adesso al punto probabilmente più delicato di questa intervista su Fiori di filo spinato. La vostra opera parla anche del cancro, sebbene in un modo non convenzionale. Un tema forte e difficile che però, se posso permettermi, credo abbiate affrontato molto bene. Da quello che mi dite, questo aspetto è emerso con le ricerche e non era presente nella prima versione, giusto?


Maxem. Sì, nel volume autoprodotto la malattia non era un tema così centrale. Quello che stava succedendo ad Lenea era più vago. Poi, durante il secondo anno di accademia ho iniziato ad approfondire di più l’ambiente in cui inserire il personaggio. Quando ho trovato il polo petrolchimico sembrava semplicemente di seguire un filo invisibile già pronto. A un certo punto mi sono accorto che Lenea era affetto da una malattia sconosciuta e tra Augusta e Priolo c’era proprio un polo industriale altamente inquinante che finiva per creare problemi di salute agli abitanti delle località limitrofe. È stato naturale far derivare la malattia di Lenea dal luogo in cui vive. Però, la cosa non era nelle idee iniziali.

Fiori di Filo Spinato - Comizio Enea

Lenea al comizio, foto di una pagina del volume Fiori di filo spinato


Comunque, penso che grazie a questo filtro della malattia dei fiori abbiate fatto un ottimo lavoro. Ora, se siete d’accordo, sposterei l’intervista sui riferimenti artistici di Fiori di filo spinato: quali sono i vostri autori preferiti a cui vi siete ispirati?


Kizazu. Io non lo so con precisione. La maggior parte delle persone della mia età che conosco sono cresciute con un immaginario comune composto dagli stessi cartoni animati importati, in particolare shōjo, come Lady Oscar. Penso che sia stato questo a influenzarmi maggiormente. Sia chiaro, quando disegno non è un pensiero fisso, però sono certa che la maggior parte del mio stile venga da lì. Quando mi lascio andare è proprio chiaro. Anche se mi rendo conto che ho subito molte altre influenze. Nonostante nel complesso abbia letto sicuramente più manga, negli ultimi cinque anni ho letto vari fumetti occidentali. Tra di essi, molti di autori italiani, come Reviati (Sputa tre volte), che mi piace molto anche se non credo sia molto affine al mio stile. Lo stesso discorso vale per Fior (Cinquemila chilometri al secondo). Nel complesso, penso che anche loro mi abbiano influenzata, anche se meno. Come autori giapponesi apprezzo tantissimo Keigo Shinzō, che da poco ha fatto un grande successo. Un altro mangaka che apprezzo è Taiyō Matsumoto (Sunny). Non so dire fino a che punto abbiano influito sul mio stile. In fondo, penso che sia una cosa involontaria.


Visto che il personaggio principale è stato opera di Kizazu, immagino sia stato tu Maxem ad allinearti al suo stile.


Maxem. In realtà, forse è lei che si è allineata al mio. Tecnicamente è più precisa, però quando ci siamo conosciuti aveva proprio lo stile tipico degli shōjo. Le ho detto che per Lenea andava bene, però per gli altri personaggi, soprattutto Marco Polo che fa l’operaio, bisognava ridimensionare questo aspetto. Penso che ispirandosi ai miei disegni, che hanno uno stile più asciutto, abbia pian piano iniziato a fare gli occhi più piccoli e i capelli meno “boccolosi”.

Kizazu. Mi diceva sempre: «fai meno capelli»! Sicuramente Maxem mi ha influenzato molto. Disegnando, ho iniziato a capire che dovevo cercare di fare una sintesi, perché stavo disegnando un fumetto e non un’illustrazione. Rifarmi al suo stile più sciolto nel tratto è stato naturale. Insomma, col senno di poi penso sia stata una combinazione di cose.

Maxem. Dal canto mio, per cercare ispirazione quando mi bloccavo, ad esempio, a livello di composizione della tavola, ho sempre fatto riferimento a Le memorie di Emanon, disegnato da Kenji Tsuruta. Il manga è un volume unico che, quando è uscito, era probabilmente il migliore nel suo genere. Del resto, il manga dà il meglio di sé nella serializzazione, tuttavia quello, per essere una storia autoconclusiva, è perfetto. La mia idea, in modo un po’ superbo forse, era quella di raggiungere un risultato simile, in cui disegni e storia sono stati curati entrambi al cento per cento. Ho pensato che anche noi potevamo dare il nostro cento per cento su tutti i fronti, senza risparmiarci. Per questo, se c’era da rifare una tavola o anche riscrivere un intero capitolo lo abbiamo fatto.


Da questo punto di vista Edizioni BD non vi ha fatto pressioni?


Maxem. BD ci ha dato abbastanza spazio. All’inizio, per come gli avevamo presentato il fumetto, era più fantasy. Successivamente, riscrivendolo, è diventato più realistico. Nonostante questo, a loro è andato bene comunque. Del resto noi, rimanendo a Catania, non avremmo mai pubblicato. Lì autoprodursi è impossibile, non c’è una rete di fiere di fumetto come c’è qui a Bologna o comunque nel nord Italia.


Per quanto riguarda la realizzazione delle tavole, invece, abbiamo già detto che inizialmente avete lavorato in bianco e nero, ma che poi successivamente alla firma del contratto con l’editore avete optato per il colore. Che tecniche avete usato?


Kizazu. Abbiamo realizzato le tavole con tecniche analogiche, ad esclusione del colore che abbiamo fatto in digitale.

Maxem. Inoltre, inizialmente abbiamo lavorato in A3.

Kizazu. È stata un’idea folle.

Maxem. Infatti, i primi capitoli sono tutti in A3. Poi abbiamo capito che non ce l’avremmo mai fatta con i tempi.

Kizzazu. Non era nemmeno funzionale rispetto alla dimensione del volume e perciò abbiamo deciso di diminuire il formato.

Maxem. Come se non bastasse, era anche un processo macchinoso. Prima disegnavamo una bozza su un foglio A4 da stampante e poi la ricalcavamo sulla tavola in A3 al tavolo luminoso, un inutile passaggio in più.

Kizazu. All’inizio, inoltre, io ero molto più lenta, a prescindere dalla dimensione della tavola. Poi disegnando e disegnando mi sono velocizzata.

Maxem. Per tale ragione, all’inizio lei faceva i personaggi e io gli sfondi. Però dopo i primi capitoli si è velocizzata ed è riuscita a fare entrambi molto bene.

Kizazu. È stata una questione di esercizio.


Per dare una coordinata temporale, la prima volta che vi siete messi al tavolo e avete parlato o buttato giù qualche schizzo?


Maxem. In realtà non ricordo con precisione quando abbiamo iniziato.

Kizazu. Credo fosse all’inizio del Covid, se non sbaglio.

Maxem. Il fatto è che, inizialmente, ci abbiamo lavorato a singhiozzi, perché entrambi ci stavamo laureando.

Kizazu. Mi ricordo che non potevamo vederci.

Maxem. Già. Il primo disegno che ho di Vasco da Gama è del gennaio 2021, quindi probabilmente quattro anni fa.


Leggendo Fiori di filo spinato mi sono venute due curiosità su delle tavole specifiche che vorrei inserire nell’intervista. La prima è quando Marco Polo vede tornare i fenicotteri e cade nella ciminiera, nel dodicesimo capitolo. Cosa che poi non succede veramente, visto che nella tavola dopo parla con i suoi amici entrando a lavoro. Qual è il senso nascosto dietro questa rappresentazione?


Maxem. Quella è una delle varie parti oniriche che coinvolgono Vasco da Gama e Marco Polo. L’idea era quella di trasmettere un senso di caduta nel tempo, un piombare nel passato. Quando si svolge quella scena sono passati quattro anni. Quattro anni in cui Marco Polo è cresciuto, la natura ha fatto il suo corso e i fenicotteri sono tornati, ma lui è ancora fermo nello stesso punto. Infatti, subito dopo sta entrando nella raffineria, perché fa ancora lo stesso lavoro. È come se per lui non fosse cambiato niente. Diciamo che volevo dare l’idea di una caduta all’ indietro in cui però, in realtà, resti fermo. Il tempo scorre ma tu resti sempre lì.


L’altra tavola che ha sollevato la mia curiosità è stata quella in cui il gruppo va in discoteca nel nono capitolo. Mentre ballano, Ema dice qualcosa a Vasco da Gama e poi la bacia. È bellissimo il fatto che questa battuta non ci sia nella tavola: rende benissimo il fatto che in discoteca le parole vengono coperte dalla musica e si crea quella sorta di privacy. Poi anche lasciar parlare l’azione, diciamo, di Ema è molto evocativo. Però son curioso, nella realizzazione della tavola avevate pensato a quello che la ragazza dice all’amica più grande?


Maxem. A dire la verità avevo scritto i dialoghi di quella scena, anche se ora non li ricordo con precisione. Il senso generale, comunque, è che Ema le confessa la propria ammirazione e, infine, il proprio amore. Ci fosse stato più tempo avremmo rappresentato in modo più esteso il fatto che Ema finisce per prendere Vasco da Gama come modello. Però non c’era abbastanza spazio. Lo abbiamo reso con Ema che alla fine si taglia i capelli, nel tentativo di imitare Vasco da Gama.


Uno di quegli amori giovanili in cui si finisce per infatuarsi del proprio punto di riferimento insomma.


Maxem. Sì, esatto. In realtà ci tenevamo a fare un intero capitolo muto. In generale mi ero imposto di non aggiungere troppo testo. Per questo, ho deciso di non mettere didascalie: nessun pensiero, nessun narratore, dovevano parlare solo i personaggi. Avrei voluto fare anche questo capitolo muto in cui avrebbero parlato solo i disegni, ma non c’era spazio. Comunque, in parte lo abbiamo realizzato.


Siamo alla fine di questa intervista su Fiori di filo spinato. Ora vorrei dedicarvi uno spazio per esprimere un vostro messaggio, legato a questa opera, oppure per esprimere qualche considerazione sull’opera o consiglio per coloro che vi si avvicinano.


Maxem. La cosa a cui tengo di più è che, sulla base dei feedback che ho ricevuto, non tutti colgono appieno il senso del finale. Molti lo vedono come positivo. Solo alcuni colgono la rassegnazione, il fatalismo siciliano, che ho tentato di veicolare e che mi sento addosso. Il senso del finale, forse, dipende dall’approccio del lettore. Il ritorno dei fenicotteri dà quell’idea di speranza legata al trionfo della natura, però se vedi quei luoghi dal vivo è difficile pensarla in questo modo.


Io credo che l’ambiguità emerga bene nel finale. In fondo, la maggior parte dei personaggi non ottiene quel che voleva e fa la stessa vita che faceva prima. Però al tempo stesso riescono a cavarsela e il tempo passa relativamente spensierato. Insomma, credo che emerga la questione dei compromessi a cui ti costringe l’Italia.


Maxem. Il fatto è che volevo mettere in luce quel luogo. So che con un fumetto non si può risolvere niente, però il mio scopo ultimo era far conoscere quella situazione al maggior numero di persone possibile. Vorrei che la gente andasse a vedere com’è un posto del genere, a vedere il contrasto che può esistere in una zona di quel tipo. Zona che, del resto, è praticamente sconosciuta anche ai siciliani stessi. A Vasco da Gama non va così male, perché lei lavora nella riserva come voleva, ma non per tutti i personaggi è così.

Fiori di Filo Spinato - Ritorno fenicotteri

I fenicotteri tornano nella riserva, foto di una pagina del volume Fiori di filo spinato


In fondo, credo che anche in questo ci sia una parte del finale positivo che molti leggono. Anche se le loro vite non sono perfette, i personaggi restano nel luogo che amano e riescono a vivere dignitosamente. Anzi, Vasco da Gama riesce anche a cambiare le cose, perché la riserva riapre e lei riesce a lavorarci dentro, lasciando il bar in cui non voleva stare. È un po’ un messaggio di speranza per tutti quelli che questo paese lo amano e vogliono impegnarsi per cambiare le cose, o almeno provarci. Per chiudere questa intervista, vorrei chiedervi se c’è qualcosa in cantiere ora che Fiori di filo spinato ha raggiunto gli scaffali.


Maxem. Io sto lavorando alla tesi, che sarà anch’essa un fumetto ambientato in Sicilia. Non so se verrà pubblicata, però mi sto impegnando per far sì che sia così. Devo dire che Fiori di filo spinato mi è servito molto in questo senso. Lavorare con i bambini nei flashback mi ha aiutato a capire che posso fare un’intera storia basata solo su di loro. Infatti, nella tesi sono gli unici protagonisti.

Kizazu. Io sto navigando nel mare delle idee. Sto riprendendo a disegnare vecchi personaggi che non toccavo da molto tempo. Tuttavia, ho deciso di lasciarli andare, perché voglio lavorare a qualcosa di nuovo. Anche se per ora non ho niente in mente.

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