AniKult – Il mio vicino Totoro: il simbolo dello studio Ghibli
Proseguendo con la nostra serie di AniKult sui capolavori di Hayao Miyazaki questa volta viaggiamo fino al 1988, quando la storia dello studio Ghibli cambiò per sempre: esce Il mio vicino Totoro.
Se si dovesse scegliere un film per rappresentare lo studio Ghibli, certamente sarebbe Tonari no Totoro, o com’è stato distribuito in Italia, Il mio vicino Totoro. A maggior ragione se si considera che il suo personaggio più memorabile, Totoro, è diventato il simbolo dello studio. La pellicola, a trentacinque anni dal debutto nelle sale giapponesi, è tornata nei cinema italiani da giovedì e vi rimarrà fino al 16 agosto.
Per coloro che ancora non lo sanno, il film ritorna sul grande schermo in occasione della prossima uscita di How do you live?, ultimo capolavoro di Hayao Miyazaki. Il mio vicino Totoro in realtà non è che il quarto appuntamento della rassegna proposta da Lucky Red: lo hanno preceduto Ponyo sulla scogliera, Il castello nel cielo e Kiki – Consegne a domicilio.
Questa commovente storia porta sullo schermo non solo la tenerezza dell’amore familiare che solo il rapporto tra due sorelline può dare, bensì anche un Giappone unico e magico. Addentriamoci quindi in quella che senza dubbio è una produzione dedicata ai più piccoli, ma che ha in sé molto molto di più.
La commovente storia di due sorelline
Procediamo con ordine partendo dalla trama. Il mio vicino Totoro si apre con due sorelline, Satsuki e Mei, che si trasferiscono in una vecchia casa di campagna insieme al padre per stare più vicini all’ospedale presso cui è ricoverata la madre malata. Siamo negli anni Cinquanta del Novecento, quindi in un Giappone post-bellico in piena recessione, che nell’atmosfera rurale più tradizionale appare povero e antiquato, ma anche nostalgico.
L’edificio in cui si trasferisce la famigliola è mezzo in rovina e sorge ai bordi di un boschetto sormontato da un mastodontico albero di canfora. Fin da subito c’è qualcosa di strano nella proprietà: infatti, entrando dal retro le due bambine si imbattono nei “corrifuliggine“, spiritelli neri che riempiono le case disabitate di polvere (gli stessi che aiutano Kamaji ne La città incantata, altro film di Miyazaki).
Inoltre, nel plurisecolare albero di canfora dimora un’altra misteriosa entità, con cui le due piccole faranno amicizia: è Totoro. Un’enorme palla di pelo grigio e bianco dalla forma paffuta con una grande bocca larga e due orecchie appuntite. Il gioviale protettore del bosco farà amicizia prima con Mei e poi con Satsuki, trasportandole in fantastiche avventure.
Dopo qualche peripezia che avvicina sempre di più le bambine al loro misterioso vicino, un telegramma porta brutte notizie: la madre si è aggravata. L’evento travolge le piccole come un’uragano, che sfocia in un litigio tra sorelle. Presa dalla preoccupazione, la piccola Mei decide di andare a piedi all’ospedale dov’è ricoverata la madre.
Tuttavia, il viaggio richiederebbe tre ore a un adulto e la piccola finisce inevitabilmente per perdersi lungo la strada. Quando Satsuki si accorge della sparizione della sorellina inizia a cercarla disperatamente, senza però riuscire a trovarla da nessuna parte. Quando ormai sta sopraggiungendo il tramonto, la sorellona disperata decide di chiedere aiuto a Totoro.
Così la gentile creatura la affida al suo amico, il Gattobus, che non solo la conduce da Mei, ma poi porta tutte e due all’ospedale. Qui, nascoste dalla magia della creatura, le sorelline sbirciano nella camera della madre, dove la vedono scherzare col padre. Quello che nella loro mente era un grave peggioramento si rivela essere un comune raffreddore. Perciò, sollevate dalle condizioni della madre e riappacificate, le due tornano a casa, in un classico lieto fine targato Miyazaki.
L’esordio del fiabesco Giappone targato Ghibli
Il mio vicino Totoro, sebbene sia il terzo film prodotto dallo studio Ghibli, è il primo film ad essere ambientato in Giappone. Infatti, i due precedenti lavori dello studio, Nausicaä della Valle del vento e Il castello nel cielo, fanno entrambi riferimento ad un fantasy “occidentalizzato”. Stiamo quindi parlando di una differenza non soltanto scenica.
La pellicola porta certo sullo schermo la campagna di Tokyo di metà Novecento, la cui familiare nostalgia diventerà una delle caratteristiche ricorrenti dei film di Miyazaki. Tuttavia, la vera caratteristica del film è rappresentare un mondo fantastico profondamente radicato nella cultura giapponese.
Per chiarire la cosa probabilmente è bene fare un piccolo preambolo su due degli aspetti più caratteristici delle fiabe giapponesi: gli yōkai e i kami. Gli yōkai sono creature dell’immaginario giapponese a metà tra mostri e spiriti: sono entità soprannaturali che esistono secondo regole ben specifiche. Queste entità non hanno una connotazione necessariamente negativa, esistono anche yōkai amichevoli, nonostante siano spesso collegati a quelle che noi chiameremmo “storie di fantasmi”.
I kami, invece, sono entità legate alla religione shintoista. Infatti, secondo lo Shintoismo, ogni cosa è pervasa di energia spirituale. I kami sono precisamente questo: alle volte vere e proprie divinità, mentre altre semplice energia. Il punto fondamentale è che essi sono adorati dagli umani.
Nel film troviamo due chiari esempi di queste entità: i corrifuliggine infatti sono senza dubbio yōkai, mentre il grande albero di canfora è un kami (come si può notare dal tempio eretto ai suoi piedi). Questi due aspetti, sebbene non compaiano direttamente all’interno della pellicola, fanno capolino qua e là, in una natura che sembra scoppiare di vita e strane creature.
Sorge spontanea la domanda: in tutto questo cos’è Totoro? La realtà è che è difficile da dire. Totoro non proviene dal folklore giapponese, è stato inventato da Miyazaki di sana pianta. Tutto ciò che sappiamo viene dal film e nel film non ha nessuna rilevanza capire esattamente cosa sia questo eccentrico personaggio.
Qui infatti emerge l’altra caratteristica del mondo fiabesco originario del film: esso cattura la spensierata prospettiva di un’infanzia felice. Se riflettessimo su Totoro estrapolandolo dal contesto del film esso assumerebbe facilmente un aspetto inquietante: infondo è una gigantesca creatura, con lunghi artigli e una bocca enorme.
Eppure guardando il film non c’è una di queste caratteristiche che appaia anche solo lontanamente minacciosa. Questo non solo perché Totoro ispira intrinsecamente simpatia per com’è disegnato, ma anche perché ogni aspetto della storia è rappresentato in modo spensierato e gioioso.
Siamo nel Giappone immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale. Un Paese distrutto che ha visto crollare il grande impero nipponico, che ha subito la bomba atomica ed è economicamente in ginocchio. Eppure, per quanto si possano vedere ovunque i segni della povertà, niente di tutto questo affligge i protagonisti.
Se qualche momento di paura c’è, vola velocemente via sulle ali di una risata. Tutto si risolve bene, tutto è pervaso da un’ancestrale gioia di vivere. In questo contesto come può Totoro essere qualcosa di pericoloso? E ancora, che importanza può avere cosa sia? Tutto ciò che importa è che sia sorprendente, meraviglioso e gentile.
Per chiarire ulteriormente questo aspetto basta far riferimento a ciò che lo stesso Miyazaki ha detto su Totoro: «Non è uno spirito: è semplicemente un animale. Credo viva di ghiande. Presumibilmente è il custode della foresta, ma è solo un’idea raffazzonata, una vaga approssimazione.»
Il simbolo dello studio Ghibli
Come abbiamo già detto, Il mio vicino Totoro è il simbolo dello studio Ghibli. Tant’è che dal 1991 possiamo vedere la sua irresistibile siluette su campo azzurro all’inizio di ogni film dell’azienda. Ma perché questa misteriosa creatura ha fatto così tanto successo?
Semplicemente Totoro è un capolavoro di design. La sua forma paffuta e il suo carattere infantile e sincero lo rendono semplicemente adorabile. Tutto in questa paffuta palla di pelo ispira simpatia e benessere.
Non sorprende pertanto che, al di là del successo del film, sarà proprio il personaggio in sé stesso a fare successo. Così negli anni ’90 hanno iniziato a fioccare gadget e giocattoli a forma di Totoro, rendendolo pian piano una vera e propria icona nazionale.
Grazie all’inaudito successo del franchise e dell’edizione home video (500’000 VHS venduti solo da Fox Video) il nostro amico peloso è diventato il simbolo dello studio. Tuttavia, questo film rappresenta lo studio Ghibli anche in un senso ben più profondo.
Infatti, non tutti sanno che quando uscì nei cinema giapponesi il film venne proiettato insieme a un’altra pellicola dello studio: Una tomba per le lucciole, diretto da Isao Takahata. Questi fu cofondatore dello studio Ghibili insieme a Hayao Miyazaki, anche se spesso viene dimenticato (in particolare qui in Occidente).
Una tomba per le lucciole è un film strappalacrime sulla Seconda guerra mondiale. La storia è incentrata sul lato più terribile e inumano della guerra: quanto possa rendere insensibili le persone, anche di fronte a due orfani. È un racconto estremamente coinvolgente e triste, al limite della sopportazione
Ma allora perché proiettarlo dopo Il mio vicino Totoro? La motivazione è legata esclusivamente a questioni produttive. Infatti, la Tokuma Shoten, finanziatrice dello studio, non era rimasta convinta dal progetto di Miyazaki: voleva un altro film fantasy. Così, il produttore Toshio Suzuki sfruttò l‘influenza della casa editrice Shinchosha, dalla quale aveva appena ottenuto i diritti per Una tomba per le luccione, per costringere la Tokuma a capitolare.
L’accoppiata dei due film, per quanto avesse permesso la produzione di entrambi, non fu un successo al botteghino. Per quanto la critica non esitò ad apprezzare le due pellicole, bisogna tenere in considerazione le famiglie che passavano bruscamente da una dolce storia per bambini a una devastante storia di guerra. Di qui il successo per l’home video.
Tuttavia, questo accostamento così forte e contrastante rappresenta perfettamente le due anime dello studio. Infatti, Hayao Miyazaki è l’autore dei film di grande successo dello studio, che porteranno milioni di famiglie al cinema. Isao Takahata, invece, è il visionario che ha tentato sempre di andare oltre il limiti del genere e di affrontare temi complessi e impegnati, alle volte anche difficili da decifrare.
Due facce di una stessa medaglia, proprio come i due film, che sono intrecciati indissolubilmente. Tant’è che entrambi hanno due protagonisti bambini e sono ambientati a intorno alla metà del Novecento (anche se Una tomba per le lucciole svolgendosi durante la guerra avviene qualche anno prima di Il mio vicino Totoro).
Inoltre, le immagini più iconiche dei due film sembrano entrare direttamente in dialogo: da una parte Satsuki con Mei sulla schiena alla fermata dell’autobus di fianco a Totoro, dall’altra Seita con sulle spalle la sorellina Satsuke (i due protagonisti del film).
Una produzione ricca di curiosità
Abbiamo già accennato alle particolari e sorprendenti vicende che circondano la produzione di questo classico dell’animazione. Ci sono però moltissime curiosità da scovare qua e là.
Per esempio è sorprendente pensare che questa meraviglia stilistica sia stata realizzata solo da otto animatori in soli otto mesi. Un lavoro titanico, ma magistrale, portato a termine grazie al responsabile artistico Kazuo Oga che con questo film vide decollare la propria carriera artistica.
La mano di Miyazaki comunque è più che evidente nel corso del film. Tant’è che quando il padre ride nella vasca da bagno sembra di vedere uno dei personaggi delle prime serie di Lupin III.
Dal punto di vista tecnico poi ci sarebbe moltissimo da dire, come per esempio la tecnica con cui è stata realizzata la pioggia: raschiando la cellulosa che poi è stata sovraimpressa in modo da creare un effetto rilassante; o il fatto che la scena iniziale è stata realizzata senza uno storyboard, montando insieme elementi creati singolarmente.
L’abilità artistica dimostrata durante il film riuscì anche a sortire l’ammirazione di un gigante del cinema nipponico: il regista Akira Kurosawa, autore di film live action iconici come Rashomon o I sette samurai. In particolare fu il Gattobus a colpire il maestro, che lo ha definito «quel tipo di cose che quelli come me in questo settore non sono in grado di fare».
Sarà proprio dedicato a Mei e al Gattobus lo sconosciuto sequel. Infatti, Il mio vicino Totoro ha un seguito che si intitola Mei to Konekobasu (ovvero “Mei e il Gattobus”). Il cortometraggio è stato realizzato nel 2002 e da allora viene proiettato giornalmente al Museo Ghibli, anche se purtroppo non è mai stato distribuito in home video finora.
Continuando la nostra carrellata di curiosità molti saranno sorpresi dal fatto che in origine la protagonista del film doveva essere una sola. Tuttavia, una bambina piccola che aspetta il padre alla fermata dell’autobus sarebbe stato difficile da spiegare, quindi si decise di optare per due sorelline.
A testimonianza di questa prima ipotesi c’è una celebre locandina che ritrae proprio questa scena, in cui sembra di vedere una fusione tra Mei e Satsuki in attesa di fianco a Totoro. Un effetto visivo assolutamente peculiare per tutti coloro che hanno già visto il film.
Concludiamo questa piccola antologia di stranezze con la vicenda editoriale italiana. Infatti, Il mio vicino Totoro è un film che nel nostro paese è uscito per la prima volta relativamente di recente: solo nel 2009, a ben ventun’anni dal debutto in Giappone.
Per di più nel 2009 Luky Red ha distribuito il film per l’home video. Per la prima proiezione cinematografica si dovrà aspettare addirittura il 2015. Cosa che ha fatto sì che qui si diffondessero prima film come La città incantata o La principessa Mononoke, lasciando la maggior parte degli spettatori ignari di cosa fosse la creatura su sfondo azzurro all’inizio delle pellicole.
Bibliografia
Watsuki N., The Art of My Neighbor Totoro: A Film by Hayao Miyazaki. San Francisco, VIZ Media LLC, 2005.
Cunningham J. e Leader M., Ghiblioteca. La storia dei capolavori dello studio Ghibli. Una guida non ufficiale. Milano, Magazzini Salani, 2022.
#INBREVE
Il mio vicino Totoro: il simbolo dello studio Ghibli
Il mio vicino Totoro è l’anima dello studio Ghibli. La sua storia di unione familiare trasporta in un fiabesco Giappone dai tratti nostalgici, ma familiari. Tra creature misteriose e avventure infantili, si viene catapultati in una campagna che sembra esplodere di vita e dove non si fa fatica a pensare che ogni cosa, finanche il più piccolo sasso, sia pervasa di una qualche energia mistica.
Insomma, questo film è un vero toccasana per lo spirito, che lascia colmi di un senso di serenità e di gioia. Tutto al suo interno ci parla di quel caratteristico amore per la vita che ritroviamo in ogni film di Miyazaki. Un vero pilastro dell’animazione da non perdere.