Joker: Folie à Deux – Fra disconferma e meta-critica
Come può il secondo capitolo di una saga con una storia di successo come quella del Joker di Phoenix e Phillips, finire con un misero 32% su RottenTomatoes? Proviamo ad esplorare alcune delle possibili cause del flop di Joker: Folie à Deux, fra aspettative deluse e spettatori “traditi”.
Joker: Folie à Deux, è il secondo capitolo della saga iniziata da Joker (2019), film campione d’incassi che vanta – fra le altre decine di premi e candidature – due Oscar: per la colonna sonora e per l’interpretazione di Joaquin Phoenix. Argomento delle ultime settimane è il giudizio quasi unanime della critica e del pubblico, che ha declassato il titolo co-scritto e diretto da Todd Phillips. I motivi potrebbero essere diversi, ma forse uno su tutti ha influenzato il giudizio delle platee mondiali.
Tanti temi e poco tempo
Questo secondo capitolo arrivava con la strada spianata verso il cuore e le orecchie del pubblico, dal più generalista al più navigato. Il tema del reietto divenuto tale a causa della società marcia che l’ha abbandonato (incarnata da Gotham) era già stato metabolizzato. Riprova la grande approvazione ricevuta dalla prima narrazione con Arthur protagonista. Da questo capitolo ci si aspettava altro, magari un tema nuovo al quale la bella Lady Gaga, nei panni di Lee Quinzel, potesse fare da giusto trampolino di lancio.
Infatti è ancora presto per avvicinarci a quel vago sentimento di delusione e tradimento che è cresciuto nel pubblico, perché un tema sulle spalle della controparte femminile è stato effettivamente posto.
Forse sarebbe meglio dire che, per raggiungere il giusto grado di approfondimento, un solo tema sarebbe bastato: ma questo è ancora un altro punto. Adesso parliamo piuttosto dell’incipit che, senza alcun dubbio, ne rappresenta la parte più sorprendente e al contempo meno citata.
Sul red carpet della follia
I primi minuti della pellicola si aprono con un corto animato in stile slapstick, che davvero sorprende lo spettatore. La breve sequenza animata presenta la storia di questo Joker che si prepara alla sua entrata in scena sul palcoscenico televisivo, una piccola reinterpretazione della famosa sequenza del Murray Franklin Show.
Senza troppi dettagli, ma con un ottima sintesi, le rapide scene presentano il dramma di Arthur. L’uomo è condannato a “subire il mondo” per colpa della sua ombra, che prende il possesso dell’identità del protagonista sfogandosi come preferisce. L’incipit è d’effetto e permette di riprendere le fila della scorsa narrazione, aprendo le porte ad uno dei temi principali del film: la doppia personalità di Arthur Fleck/Joker.
Eppure le emozioni che scaturiscono dal finale di questo corto di apertura, soprattutto se ripensato a freddo, sono confuse e di fatto lasciano lo spettatore in balia di una narrazione inaspettata. La pellicola comincia fin da subito a “deludere” e, con l’epilogo bene in mente, che fosse intenzionale diventa un’ipotesi plausibile.
Come non rimanere confusi da un prologo che parla chiaramente di una patologia grave come il “disturbo dissociativo dell’identità” (prima “disturbo di personalità multipla”), quando il titolo ne cita platealmente un’altra, altrettanto severa, come il “disturbo psicotico condiviso”? Ma soprattutto, come una pellicola di appena 2 ore potrebbe esaurire anche solo uno degli aspetti di queste condizioni peculiari?
Dunque una florida concentrazione di temi prelude il flop di un opera? Ovviamente non è questo il punto. Proviamo, però, a pensare alle grandi narrazione, come queste si danno il tempo di affrontare i propri snodi tematici e come li gerarchizzano.
Già solo le due tematiche di matrice psicologica e psichiatrica, soprattutto nel contesto della narrazione, risultano “too much”. Sono entrambi temi primari, che potrebbero fare da perno alla narrazione e, condividendo la scena, finiscono per banalizzarsi l’un l’altro – per rimanere sugli inglesismi “less is more“. Non vogliamo, però, essere noiosi, quindi introduciamo finalmente il fantomatico punto.
Joker: The Great Betrayal
La conclusione, e tutto l’ultimo atto in particolare, coronano il trend di continuo tradimento delle aspettative del pubblico. Phillips e Silver decidono di optare ad ogni bivio per la strada meno battuta, prendono le parti dell’anticonformista e provano non solo a sorprendere, ma a destabilizzare. Partendo dal corto di apertura, una stupenda e inaspettata sorpresa, passando per l’introduzione di alcuni temi in maniera poco ortodossa, fino al monologo principale del film, in cui viene “risolta” la doppia personalità del protagonista in maniera totalmente anti-climatica.
Il finale è, infatti, la naturale conclusione dello snodo narrativo messo in atto dalla “confessione del Joker” (così la chiameremo per evitare il più possibile spoiler). Una conclusione che non viene mai anticipata fino a quel momento e che si concretizza solo nell’ultima parte del film.
La macro-narrazione decide, invece, di puntare in un’altra direzione, quella attesa da tutti. La rivalsa del Joker che non può essere contenuto dalla società in quanto icona, entità sovra-umana. Infatti c’è un momento durante la visione, dopo il quale è impossibile non aspettarsi un epilogo sulle note della guerriglia urbana, in maniera simile al primo capitolo.
L’unica soluzione in questo scenario sarebbe stata la comparsa di Batman (però bambino al momento della narrazione), naturale antagonista del pagliaccio. Nella classica dicotomia fumettistica: borghesia contro sobborghi, amore contro abuso, austerità contro folle divertimento.
Phillips decide, invece, di virare verso tutt’altra conclusione e raccontare tutt’altra storia. In scena vediamo il dramma di un povero pagliaccio, abbandonato, offeso, deriso, che decide di rifugiarsi nel suo patologico delirio. Uno stratagemma che funziona fin quando la realtà lo tira di nuovo a sé, citando il corto di apertura, scindendo le sue incarnazioni.
Tutto ciò risulta in una presa di coscienza che è sognante ma non più folle, bensì coraggiosa, di quel “coraggio di vivere” familiare e complesso. Questa è una scelta che non ripaga, però, il protagonista, che forse avrebbe fatto meglio a decidere di aderire al suo stereotipo folle ed al ruolo di simulacro al quale lo hanno relegato le tante storie di Batman.
Il pubblico in attesa del folle anticonformista, in lotta aperta con la società con il suo esercito di “cultural freaks”, non ha potuto far altro che sopportare il cambio di rotta. Ecco, dunque, il grande tradimento, tutto nei riguardi del pubblico, rimasto in attesa di qualcosa che non avrà mai.
Mascherando le lamentele da insegnamenti
La platea, abituata alle storie d’azione del Batman fumetto e cine-fumetto, si è trovata davanti una saga diversa. La saga del povero folle pagliaccio, che nulla ha in comune con il bel Bruce. In questo i due capitoli sono molto simili, il Joker rimbalza da idolo a idiota per tutta la durata dei film, fino al tragico epilogo.
Va anche commentato, però, il ruolo di maestrino che Phillips si è ritagliato. Era quasi visibile a schermo la cattedra dalla quale il regista, corrucciato e avvilito, inveiva contro il pubblico dei cine-comics e le loro morbose aspettative. Una mossa che ha contribuito di certo al vago fastidio avvertito in sala. Alcuni hanno definito questo genere di meta-critica come ormai vetusta e ammuffita, però dalle reazioni banalmente scontente del pubblico, traspare anche una capacità di giudizio acerba e capricciosa.
Il film è sicuramente riuscito a far parlare di sé, forse non per i motivi che il regista sperava. Eppure la narrazione è costellata di buone idee, che purtroppo non hanno avuto il tempo di svilupparsi a dovere, contribuendo alla magra riuscita della pellicola.
Quando le buone idee non bastano
Non sempre le buone idee trovano lo spazio per contribuire alla riuscita di un’opera. In questo caso la voglia di parlare e raccontare ha probabilmente fatto più male che bene alla pellicola e, schiacciandosi l’un l’altra le buone idee si sono fatte la guerra. Sicuramente lo svolgimento anti-climatico ed in controtendenza del film è stato la causa principale della sua disfatta agli occhi del pubblico, ma anche la penuria di tempo e l’abbondanza di idee hanno dato il loro contributo.
Condividere tutto (e niente), anche il delirio
La rappresentazione in chiave musicale del disturbo psicotico condiviso è sicuramente la colonna portante della narrazione. La coppia mal assortita di Lee e Arthur racconta tanto di quel versante dell’amore irrazionale e fine a sé stesso. Niente ambizioni, solo sogni, niente progetti, solo fantasie, niente futuro, solo immaginazione. Il film riesce bene a raccontare questa dinamica di coppia malata e sicuramente lo stratagemma del musical, chiamato dalla presenza di Lady Gaga, funziona.
Finalmente la dinamica broadwayana acquista un senso all’interno della narrazione. Chi circonda i protagonisti canterini ha un vero motivo per non sentirli: tutto ciò che avviene a schermo in quel momento è frutto di una psicosi. Tanto nelle scene di coppia, quanto nelle canzoni da solisti.
Lo stratagemma musicale riesce a raccontare indirettamente il legame fra i due, come questo si crea e come viene a sgretolarsi sotto il peso della realtà. Fino al tragico epilogo della loro storia d’amore malata, che non può sopravvivere senza delirio, perché è delirio.
Ovviamente anche qui affiorano i punti deboli. Nonostante la scelta musicale sia azzeccata per la narrazione e facilmente realizzabile grazie a Lady Gaga, il pubblico non se lo aspettava. Perlomeno non con questa intensità. Di nuovo ritorna il tema della disconferma verso il pubblico e la meta-critica di Phillips. Altro aspetto importante, in questo caso, potrebbe essere l’esasperazione di teaser e trailer, che raccontano già tutto ad un pubblico drogato di leak.
Il “vecchio” Joker era un’altra cosa ma questo non è così male
Forse una magra consolazione, ma un approccio “garantista” produce un giudizio più complesso ma non così lontano dal vissuto comune. Joker: Folie à Deux, non è un pessimo film, ma accumula una serie di tante disattenzioni che schiacciano le buone idee narrative.
“Ma allora il pubblico aveva ragione, il film è mediocre!”
Senza dubbio il secondo Joker di Phillips non raggiunge l’intensità drammatica e la profondità del primo. Però il film in sé, al di là che piaccia o meno la scelta musicale, è un buon film. Una pellicola che, come le altre traduzioni fumettistiche, parla ad un pubblico preciso.
L’abbiamo detto, questo secondo capitolo sottintendeva (fin troppo platealmente) un fine educativo che ha irrigidito il pubblico. Il “ditino” accusatorio e pungolante di Phillips si sentiva fra le costole e questa scelta è stata di certo impattante per il giudizio. Forse quella che più di tutte ha condizionato la magra riuscita, in termini di consensi, del film.
Con questo la lotta cinematografica fra Batman e Joker continua, con il primo ancora in vantaggio. Rimaniamo in attesa del colpo di scena che magari è dietro l’angolo.
Classe '99, amichevole e moderatamente caustico. È il Caporedattore delle sezioni "Animazione" e "Japan": ama il versante animato della settima arte e la cultura giapponese, ma non solo. Scrive per trasmettere la giusta media fra emozione e informazione.