Omoshiroi – L’immaginario collettivo sui Ninja
L’immaginario collettivo sui Ninja li rappresenta come letali e silenziosi assassini vestiti completamente di nero; guerrieri formidabili dalla ferrea disciplina ed esperti in ogni tipo di arma da lancio e da taglio, capaci di compiere incredibili acrobazie senza emettere il minimo suono. Ma quanto c’è di vero?
La fama dei ninja li associa a tutti gli effetti a degli esseri quasi sovrannaturali. Questo anche grazie ai media che nel tempo li hanno visti protagonisti di racconti, film, videogiochi e fumetti. Tuttavia la realtà storica dei ninja è ben diversa, ma vediamo come e quando l’immagine dei ninja è cambiata.
La nascita dei Ninja
I ninja erano spie, mercenari e agenti segreti molto attivi durante il periodo del Giappone feudale.
Non si hanno molte informazioni storiche riguardo i ninja e le loro origini. In parte questo è dovuto al fatto che agendo nella più completa segretezza la loro figura fosse avvolta da un alone di mistero, contribuendo alla creazione di miti e leggende. Sappiamo però che erano esperti in tattiche di spionaggio, sabotaggio, infiltrazione, assassinio e guerriglia.
Nonostante l’immagine moderna li veda per lo più come assassini, storicamente il principale compito attribuito ai ninja o shinobi, come più comunemente venivano chiamati in passato, consisteva nello spionaggio e raccolta di informazioni. Venivano reclutati tra i membri delle classi più basse, in quanto questi erano più inclini a commettere atti che avrebbero macchiato l’onore e il decoro delle classi più abbienti, come quella dei samurai.
Sappiamo che molte delle tecniche e strategie utilizzate dai ninja derivavano da antichi manuali di strategia militare cinese come L’arte della guerra di Sun Tzu. Queste tecniche sono state poi sempre più affinate, dando vita alla disciplina nota come Ninjutsu. Essa comprendeva una serie di tattiche di combattimento, spionaggio, sopravvivenza, infiltrazione e sabotaggio. Già in alcuni scritti del VI secolo si fa menzione a queste di tattiche di spionaggio. Ma è nel XV secolo, durante il periodo Sengoku, che i ninja raggiungono il loro periodo d’oro.
La nascita delle leggende
Il folklore giapponese vedeva i ninja come diretti discendenti dei Tengu, un particolare tipo di yōkai metà uomo e metà corvo, delle leggende giapponesi. Proprio in merito a ciò la maschera che i ninja portavano per coprire il volto è chiamata tengu-gui.
Secondo le leggende, dai tengu i ninja avrebbero ereditato arti magiche e doti sovrannaturali. Queste capacità potevano includere il volo, l’invisibilità, il poter mutare forma, il poter dividere il corpo, l’evocazione di animali e il controllo dei cinque elementi. Tutte queste capacità sono state ampiamente riportate in rappresentazioni presenti in anime e manga, di cui Naruto ne è l’esempio più famoso.
Le leggende sui ninja nacquero da credenze popolari che pian piano iniziarono a diffondersi in tutto il paese. Secondo alcune fonti a volte erano gli shinobi stessi a spargere queste false informazioni per accrescere il timore nei loro confronti, come nel caso di Nakagawa Shoshujin, il fondatore del ninjutsu nakagawa-ryu (XVII secolo). Egli sosteneva nei suoi scritti, gli Okufuji Monogatari, che i ninja avevano la capacità di trasformarsi in animali.
Altre volte l’utilizzo di particolari trucchi o strumenti poteva portare a false credenze: l’utilizzo di fumogeni o polveri da sparo per distrarre i nemici diventavano vera e propria magia agli occhi del popolo.
Il contributo del Teatro
Le leggende andarono pian piano ad espandersi e ad accrescere il prestigio dei ninja, ai quali venivano attribuiti poteri magici e doti formidabili.
Col teatro queste leggende iniziarono a prendere forma e a diffondere un certo tipo di immaginario collettivo. I ninja rappresentati negli spettacoli del teatro Kabuki attingevano a piene mani dalle leggende popolari e avevano ben poco a che fare con la realtà. Nel teatro kabuki, i ninja erano spesso le controparti disonorevoli e stregonesche dei samurai e utilizzavano mezzi di mimetizzazione ed espedienti magici per combattere.
In queste rappresentazioni gli shinobi erano soliti utilizzare i cosiddetti Shinobi no Jutsu, o abilità Ninja, un misto di magia e/o arti marziali. Grazie infatti alla pratica del kuji-kiri, che consisteva nel creare una serie di sigilli con le mani (ampliamente ripresi in Naruto), il ninja riusciva, in questi spettacoli, a scomparire, moltiplicarsi o trasformarsi.
La pratica del kuji-kiri divenne ben presto una simbologia tipica nella rappresentazione dei ninja. Si tratta di nove simboli che devono essere eseguiti con una posizione precisa delle mani detta mudra e pronunciati ad alta voce oppure interiormente. Ogni simbolo aveva una funzione specifica:
- Rin – La forza della mente e del corpo
- Kyo – Direzione dell’energia
- To – Armonia con l’universo
- Sha – Guarire se stessi o gli altri
- Kai – Premonizione del pericolo
- Jin – Lettura dei pensieri altrui
- Retsu – Padronanza del Tempo e dello Spazio
- Zai – Controllo sugli elementi della Natura
- Zen – Illuminazione
Questa pratica non è però invenzione del teatro ma ha origine dal buddhismo e veniva talvolta praticata dai guerrieri (quindi anche dai ninja) come rituale di concentrazione o come vera e propria arte meditativa. Alla pratica del kuji-kiri veniva attribuita la capacità di influenzare le condizioni personali, il comportamento degli avversari e persino l’ambiente circostante.
Ma questo non è l’unico contributo che il teatro ha portato all’immagine degli shinobi. Un’altra leggenda sui ninja ha infatti origine dal teatro, e non si tratta di poteri ma riguarda bensì l’abbigliamento.
Il tipico vestito nero che caratterizza i ninja deriva infatti dai Kuroko, ovvero i macchinisti teatrali. Questi si vestivano da capo a piedi di nero per mimetizzarsi col fondale del teatro (quasi sempre nero, appunto) e passare inosservati mentre spostavano oggetti di scena o marionette. Per questo motivo i Kuroko erano di vitale importanza nel teatro Bunraku (teatro dei burattini). Ben presto nel teatro Kabuki, il vestirsi completamente di nero venne adottata come pratica dagli attori per interpretare i ruoli da ninja.
Tuttavia era di uso comune che nella realtà i ninja si vestissero come civili, per mischiarsi meglio tra la gente e passare inosservati. Il vestito nero poteva forse essere utilizzato in missioni notturne per mimetizzarsi meglio con la notte, tuttavia non abbiamo prove storiche a riguardo.
I Ninja nell’immaginario del Periodo Edo
La falsa credenza del vestito nero venne anche accentuata dalle illustrazioni e stampe del periodo Edo. In queste illustrazioni i ninja erano vestititi come i kuroko, al fine di rappresentare un senso di invisibilità. Abbiamo alcuni esempi da parte di artisti del calibro di Katsushika Hokusai e Utagawa Kunisada:
Questi disegni erano spesso utilizzati come copertine di romanzi che avevano dei ninja come protagonisti. I personaggi di questi racconti potevano avere un fondamento storico o essere completamente inventati. Il più famoso di questi racconti fu il Jiraiya goketsu monogatari (児雷也豪傑物語), composto da una serie di romanzi pubblicata tra il 1839 e il 1868, in 43 libri scritti da diversi autori. I racconti hanno per protagonista Jiraiya (児雷也), un ninja a capo di una banda di predoni e studioso dell’Arte del Rospo, che si innamora di una bellissima donna di nome Tsunade, esperta nell’Arte della Lumaca. I due si scontreranno poi con uno dei seguaci di Jiraiya che, tradito il maestro, imparerà l’Arte magica del Serpente. Questi, cambiato il proprio nome in Orochimaru (大蛇丸), in onore del mitico serpente yōkai a otto teste Yamata no Orochi, acquisisce la capacità di trasformarsi in un enorme serpente.
Purtroppo il racconto si interrompe bruscamente senza darci un finale, ma diede un notevole contributo al diffondere la popolarità dei ninja. Inoltre i personaggi e le tecniche ninja del Jiraiya goketsu monogatari vengono ripresi e reinterpretati nel manga Naruto, dove hanno un ruolo cruciale per la trama.
Il boom ninja degli anni ’20
Per quanto riguarda la cultura popolare moderna, ci sono stati tre principali boom di popolarità dei ninja, i primi due limitati alla cultura popolare giapponese, mentre il terzo espanso a tutto il globo. Il primo boom avvenne tra gli anni ’10 e ’20, quando la serie di romanzi per bambini Sarutobi Sasuke divenne popolare in tutto il Giappone; la serie venne distribuita tra il 1911 e il 1925 in una serie di libri tascabili edita dalla Bunko Tachikawa e descriveva le gesta del giovanissimo ninja Sasuke Sarutobi, capace di imprese sovraumane ed essenzialmente un prototipo di supereroe. Sasuke era ispirato a ninja del passato ed era un personaggio ricorrente del kamishibai, il teatrino dei cantastorie giapponesi.
La serie su Sasuke ebbe un grandissimo successo e fu anche di ispirazione per un corto animato di impronta disneyana intitolato Ninjutsu Hinotama Kozou: Edo no Maki del 1935:
Dopo la seconda guerra mondiale, le opere sui ninja subirono un rallentamento forzato. Il motivo era dovuto agli Stati Uniti, che durante l’occupazione del Giappone posero una forte censura su tutte le opere di genere storico con la motivazione che rischiavano di inneggiare al nazionalismo.
Il Boom degli Anni ’60
Nel 1951 le truppe americane iniziarono progressivamente ad abbandonare il Giappone, e con esse andò via anche la censura. Come conseguenza ci fu una nuova impennata di opere ad ambientazione storica. Ed è proprio in quegli anni che scoppia il secondo boom di popolarità dei ninja, dovuto ad un ritorno alla tradizione giapponese in risposta all’occidentalizzazione forzata imposta dagli americani. Sasuke Sarutobi è tra i primi personaggi a tornare, a partire dal manga di Shigeru Sugiura del 1954.
Ben presto altri mangaka presero l’esempio di Sugiura, ed iniziarono a creare manga su Sasuke o altri ninja popolari. Persino il “dio dei manga” Osamu Tezuka dedicò a Sasuke Sarutobi un manga omonimo nel 1960. Nel manga di Tezuka il giovane ninja utilizza le tecniche ninjustu come vere e proprie magie, per volare o trasformarsi.
Gli anni ’60 videro l’emergere anche di un altro importante mangaka: Sanpei Shirato, che fece dei ninja la colonna portante delle sue opere. Nei manga di Shirato i ninja si discostavano dall’immagine diffusa ma lontana dalla realtà, che li vedeva come eroi quasi perfetti, capaci di qualsiasi impresa. Al contrario, i suoi personaggi erano molto umani e sembravano rispecchiare appieno i sentimenti dei giovani giapponesi dell’epoca. Le storie di Shirato infatti, nonostante fossero ambientate nel passato, erano il riflesso della società moderna ed esprimevano un’analisi attenta e molto puntuale dei problemi sociali e morali del Giappone contemporaneo.
Il successo di Shirato fu enorme in Giappone, tanto da renderlo uno degli esponenti di spicco del genere gekiga. Tra le sue opere principali, ricordiamo Kaze no Ishimaru, Sasuke, Watari, Kamui den e Ninja Bugeichō. Di quest’ultima, il regista Nagisa Ōshima ne farà una particolare versione cinematografica nel 1967, utilizzando le tavole del manga.
I Ninja al Cinema
I ninja avevano iniziato a comparire nel cinema giapponese già dall’inizio del secolo, ma è dagli anni ’60 che ha inizio una vera e propria proliferazione a livello cinematografico. In particolare ebbe grande popolarità una serie di film chiamata Shinobi no Mono, basata sui romanzi dello scrittore Tomoyoshi Murayama. La serie raccontava le gesta di quattro eroi ninja, protagonisti dei differenti film e tutti interpretati dallo stesso attore, Ichikawa Raizō, che sarà d’ispirazione per il personaggio del ninja Raizo in One Piece.
Questo fu anche il periodo in cui i ninja fecero la loro prima apparizione in una produzione occidentale, ovvero nel film di James Bond Agente 007 – Si vive solo due volte (1967), anche se nel film figuravano più come un commando militare che come tradizionali shinobi. Tuttavia era ancora presto perché i ninja invadessero Hollywood. Invece in Giappone continuavano ad avere un discreto successo sia al cinema che in televisione. In aggiunta, in questo periodo i ninja iniziavano ad essere interpretati non più da semplici attori ma da veri artisti marziali, come nel caso di Sonny Chiba.
Chiba interpretò diversi personaggi ninja in film e serie televisive divenute dei cult, almeno in Giappone. Di particolare successo fu la sua interpretazione del ninja Hattori Hanzō nella serie televisiva giapponese Shadow Warriors del 1980. Nello stesso anno Chiba prende parte, assieme ad un giovanissimo Hiroyuki Sanada, al film Shogun’s Ninja. Due anni più tardi, sempre insieme a Sanada, reciterà nel film Ninja Wars.
In Kill Bill il personaggio interpretato da Chiba è stato chiamato Hattori Hanzō da Quentin Tarantino proprio in omaggio al precedente ruolo di Chiba in Shadow Warriors.
Il terzo Boom e il successo globale
Il terzo e più importante boom di popolarità dei ninja avvenne intorno al 1980, quando diverse case di produzione americane si accorsero del successo che i ninja riscuotevano in Giappone. Queste società progettarono di trarne vantaggio, cavalcando anche l’onda dell’interesse per i film di arti marziali di Hong Kong che Bruce Lee aveva portato in America. Nel marzo 1981 iniziarono una serie di produzioni americane di film sui ninja, tra cui The Challenge con Scott Glenn e Toshirō Mifune. Tuttavia, molte di queste produzioni non riuscirono a ottenere molto successo al momento del rilascio.
La svolta per i film sui ninja arrivò con Enter the Ninja del 1981, diretto da Menahem Golan. Il successo del film scatenò la cosiddetta “ninja mania” nella cultura popolare che portò a un’ondata di film sui ninja prodotti in America. Parte del successo era dovuto al carismatico antagonista del film, interpretato da Sho Kosugi, che divenne molto più popolare del protagonista interpretato da Franco Nero. Hasegawa, il personaggio interpretato da Kosugi, che nel film faceva sfoggio di un discreto arsenale di armi e della sua divisa nera, divenne lo stereotipo del ninja negli anni a venire.
Il successo del film permise a Kosugi di interpretare altri ruoli da ninja in produzioni americane. Ad esempio la serie televisiva The Master (1984), in cui si narrano le avventure di un vecchio maestro ninja interpretato da Lee Van Cleef. Questi film e serie tv portarono la “ninja mania” a diventare un fenomeno globale e a diffondere l’immagine dei ninja della cultura pop in tutto il mondo.
Un nuovo media
Durante gli anni ’80 i ninja diventarono popolari anche attraverso un altro media: i videogiochi. I primi titoli erano di matrice giapponese come Sasuke vs. Commander (1980), Ninja Hayate (1984), o Legend of Kage (1985). Ma anche le controparti americane non tardarono ad arrivare, come Saboteur (1985) o Ninja (1986). L’immagine promozionale di quest’ultimo titolo era ispirata al personaggio di Sho Kosugi in Enter the Ninja.
In questo periodo nacquero anche i primi capitoli di quelli che sarebbero diventate delle vere e proprie saghe videoludiche. Parliamo di titoli come Shinobi (1987) o Ninja Gaiden (1988) che stavano gettando le basi per quello che sarebbe diventato il genere stealth. Genere che andrà ad affinarsi e perfezionarsi nel tempo anche con successivi titoli di videogiochi ninja come la saga dei Tenchu (1998) o Shinobidō (2006) fino ad arrivare al più recente Sekiro: Shadows Die Twice (2019).
Come nei film che abbiamo citato e prima ancora nel teatro tradizionale, anche nei videogiochi i ninja sono spesso dotati di capacità e poteri straordinari.
Tutte queste forme di intrattenimento hanno creato una rappresentazione dei ninja distante dalla realtà ma che sicuramente ne ha fatto crescere la popolarità, delineando una figura avvincente e affascinante e creando l’immagine che tutti noi oggi abbiamo dei ninja.
#INBREVE
L'immaginario collettivo sui Ninja
I ninja, i misteriosi e letali assassini mercenari del Giappone feudale, sono ormai da tempo entrati nel nostro immaginario collettivo. Alla parola ‘ninja’ molti di noi associano dei guerrieri formidabili vestiti completamente di nero ed esperti in ogni tipo di arma. Ma quanto c’è di vero nella realtà storica dei ninja? Con questo articolo cerchiamo di far luce su ciò che i ninja erano realmente e l’immagine che è venuta a crearsi nella cultura popolare moderna.