One Piece: il live action Netflix divide le acque
La prima stagione del live action di One Piece prodotto da Netflix: l’inizio di un viaggio che divide gli spettatori.
In precedenza Netflix si era già cimentata nell’adattamento televisivo di anime o manga. Il primo tentativo è stata la realizzazione del film di Death Note, tratto dall’omonimo manga di Tsugumi Ōba, nell’agosto del 2017. Un tentativo più recente è stato fatto con Cowboy Bepop, uscito nel 2021 sempre sulla piattaforma. In entrambi questi adattamenti del colosso dello streaming americano, il risultato è decisamente sotto le aspettative.
Ecco perché cimentarsi con l’adattamento in live action, viste le premesse, ma soprattutto le difficoltà titaniche nel trasporre il capolavoro di Oda su schermo, sembrava un’impresa tanto titanica quanto impossibile.
La serie, rilasciata lo scorso 31 agosto, ha da subito attirato a sé tutte le attenzioni del mondo nerd e non solo. La serie nelle prime settimane è risultata la più vista in 84 Paesi. E, come spesso accade per questi fenomeni, ha spaccato in due Internet. Da una parte i numeri registrati dalla nuova serie Netflix sono stati incredibili, ricevendo un’accoglienza decisamente entusiasta, dall’altra non sono mancati detrattori e critiche.
A causa di questa divisione creata dalla serie ideata da Matt Owens e Steven Maeda, abbiamo deciso di inserire all’interno dell’articolo entrambe le visioni. Da una parte quella dello spettatore che è rimasto entusiasta dell’adattamento live action e, dall’altra, quella di chi, invece, non l’ha apprezzata.
Il capolavoro di Eichiro Oda
Prima di addentrarci nella recensione della serie, anche se potrebbe sembrare superfluo, è necessaria un’introduzione sul mondo di One Piece.
One Piece nasce dalla mente del mangaka Eichiro Oda, nel luglio del 1997. Ad oggi il manga conta oltre 1.000 capitoli e più di 100 Tankōbon. Dopo più di 25 anni dalla prima pubblicazione, il manga con protagonista Monkey D. Luffy è diventato un vero e proprio fenomeno mondiale, battendo qualsiasi record di vendite.
Basti pensare che il manga ha venduto più di 500 milioni di copie nel mondo (più di Batman). Numeri che lo hanno reso il manga più venduto al mondo. Inoltre, ogni anno – dal 2008, anno in cui si è iniziato a raccogliere questo dato – si conferma il più venduto in Giappone.
L’adattamento anime, che ad oggi conta più di mille episodi, è nelle classifiche degli anime più visti nonostante la longevità. Insomma, One Piece è un vero e proprio fenomeno mondiale a livello dei franchise più conosciuti di sempre come Star Wars, Harry Potter o Pokémon.
L’essenza di One Piece
Perciò, proviamo ad analizzare con spirito nuovo il live action e chiediamoci: in cosa è riuscito? È facile seminare dubbi a suon di “coerenza” non palesata, più difficile è analizzare cercando di non assecondare la propria vocina lamentosa. Dunque proviamo.
Il più grande merito del live action di One Piece è probabilmente di natura emotiva. La serie riesce a riportare alla memoria i pomeriggi scanditi dalle puntate dell’anime in onda su “Italia 1”. L’opera è apprezzata per la sua stravaganza, ma anche per il modo diretto con il quale racconta e si racconta. Tre i temi fondamentali e di ispirazione: i propri sogni sono sacri, l’amicizia è un valore imprescindibile e l’avventura è come l’ossigeno. Temi che, col passare degli anni e dei volumi, sono andati via via dimenticati.
La stravaganza, appunto, non è solo di contenuto, ma anche estetica. Tradurre in realtà un mondo così pittoresco, sopra le righe, grottesco e iconico per via delle sue immagini chiave (i manifesti wanted, i lumacofoni, i jolly roger) senza cadere nel kitsch era una delle sfide principali della produzione. Sfida che ha avuto un esito alquanto positivo. L’appassionato di vecchia data trova subito familiare il mondo del live action, così simile a quello dell’opera originale, mentre il neofita viene catturato dai colori, da personaggi e ambientazioni strambe e dall’azione dai ritmi sfrenati.
A differenza di altre trasposizioni cinematografiche o seriali di opere giapponesi, si vede subito il desiderio di creare un prodotto valido, e a questo contribuisce la supervisione generale di Oda. Nonostante ci siano delle variazioni di trama e alcuni ambienti siano stati modificati, il live action mantiene lo spirito dell’opera originale. Molte scene iconiche, come quella del giuramento o quella in cui Luffy poggia sulla testa di Nami il suo cappello di paglia, hanno la stessa carica emotiva del manga e dell’anime. La verve comica, umoristica e a tratti demenziale rimane intatta e alcuni significativi cambiamenti (l’arco narrativo del Baratie) sono funzionali alla narrazione.
I veri Mugiwara
Sebbene siano stati apportati diversi cambiamenti di trama rispetto all’opera originale, essi risultano funzionali alla narrazione sul piccolo schermo. Uno su tutti – apprezzato parecchio – è come vengono narrate le storie personali dei Mugiwara. Come le origini di Luffy, che vengono rivelate allo spettatore tramite diversi flashback strategicamente centellinati nel corso delle prime puntate. Nel manga, l’infanzia di Cappello di Paglia viene narrata in apertura del primo volume e non tramite flashback.
Altro punto a favore dell’adattamento Netflix è la scelta del cast, in particolare per quanto riguarda i protagonisti.
Fra gli interpreti, tutti poco conosciuti, ci sono piacevolissime scoperte. I Mugiwara impersonano alla perfezione e con grande spontaneità i protagonisti: sembra di assistere all’anime tanto sono simili nello spirito, nei dialoghi e negli atteggiamenti a Luffy e compagni. Gli attori si sono calati perfettamente nei loro ruoli e le sfaccettature caratteriali tipiche di ciascuno sono riprodotte fedelmente. Menzione d’onore per Taz Skylar (Sanji) che fornisce al personaggio una sfumatura nuova: il cuoco sembra lo stereotipo del liceale americano quarterback della squadra di football e fidanzato della cheerleader più carina della scuola. Un approccio questo che può piacere o non piacere, ma che è sicuramente un tentativo coraggioso e apprezzabile di fornire al personaggio una nuova sfaccettatura.
Gli attori si divertono nell’interpretare i personaggi. Iñaki Godoy ha dichiarato che essere Luffy è sempre stato un suo sogno e Mackenyu, le cui scene di combattimento coreografate sono un punto di forza della serie, si è reso disponibile a interpretare Zoro per dieci anni. Nami (Emily Rudd) si distingue per femminilità e determinazione, tanto che il personaggio ha ricevuto molti feedback positivi, liberandosi dall’immagine troppo sessualizzata del manga. Dulcis in fundo, la codardia e le bugie di Usopp sono divertenti e goffe proprio come quelle del personaggio cartaceo, mentre il fatto che non abbia il caratteristico naso lungo è una scelta azzeccata: l’uso della computer grafica poteva rovinarne l’aspetto rendendolo troppo caricaturale.
A questo si aggiunge un ottimo lavoro fatto dal reparto costumi. Perché i membri della ciurma di Cappello di paglia alternano i loro vestiti classici ad altri alternativi. Elemento che potrebbe sembrare banale, ma aiuta ad ammortizzare quello che sarebbe potuto diventare un troppo permeante “effetto cosplay”.
Fedeltà dei personaggi secondari
Molto fedeli all’originale anche i personaggi secondari: Garp trasmette forza e vigore, Kobi è fifone e insicuro come a inizio manga ed Helmeppo è ridicolo e pieno di sé. Anche i villain sono ben delineati, con Bagy che è malvagiamente comico (chiaro il riferimento a Joker nei suoi discorsi e atteggiamenti), Kuro, i cui artigli sono facilmente riconducibili a quelli del famoso Freddy Kruger, che ben si adatta alle tinte horror dell’arco a lui dedicato e Arlong spietato e malvagio, con Arlong Park che sembra la sede di un clan mafioso. Da citare anche Mihawk, Zef, Shanks e Kaya che sono molto credibili.
In generale, nonostante si pecchi di pacchianeria in alcuni costumi e trucchi, si nota il desiderio di creare un prodotto di qualità e non raffazzonato, con gli attori che si sono impegnati a fondo per restituire agli spettatori personaggi che mantengano intatta l’anima e le caratteristiche peculiari, a differenza di altri film basati su opere giapponesi, che con l’originale avevano poco in comune.
Il merito più grande del live action è però un altro e trascende l’opera in sé: infatti l’intero universo narrativo di Oda ha raggiunto un nuovo livello di popolarità. Ora Luffy e amici non sono più un fenomeno di nicchia, un fumetto da ragazzi fine a sé stesso. Il manga piratesco è entrato nell’Olimpo della narrazione fantasy, quelle poche storie o universi letterari capaci di resistere al tempo riuscendo così, forse, a superare gli altri due totem degli shonen, Dragonball e Naruto. Grazie alla serie, la platea ristretta del manga e dell’anime si è ampliata al mainstream delle piattaforme streaming, rafforzando così il brand della storia di pirati più longeva di sempre. Prova della riuscita di tale operazione sono i numeri da record raggiunti dal live action che, a discapito delle opinioni discordanti, rimane un fenomeno senza precedenti che ha fatto attraccare la ciurma dei Mugiwara sulla bocca di tutti.
Un mare orientale “Hollywoodiano”
Dall’altro lato la serie presenta anche davvero un grandissimo numero di difetti.
A questo proposito, è già molto esaustiva la prima sequenza dell’adattamento. La serie si apre con l’esecuzione di Gol D. Roger, in pubblica piazza, per mano della marina. Questo momento ha un valore enorme nel mondo di One Piece, in quanto la morte del re dei pirati e le sue ultime parole danno il via all’era della pirateria.
All’interno della sequenza del live action manca completamente l’atmosfera e l’anima che invece sono presenti nelle controparti cartacea e animata. La reazione di tutti gli astanti alla morte di Roger è mal costruita, con questa fuga all’esterno della piazza nell’istante stesso in cui avviene l’esecuzione. Non c’è costruzione della scena, non c’è atmosfera e non c’è alcun pathos.
Ovviamente questo è un singolo esempio, ma che riassume bene i problemi della trasposizione. Infatti, questa troppo spesso non riesce a riprodurre fedelmente le atmosfere dell’opera originale, togliendo la capacità di suscitare delle emozioni forti a sequenze che ne richiederebbero e aggiungendone quando non andrebbe fatto.
A questo proposito, un altro esempio è la sequenza in cui Luffy mangia il frutto Gom Gom. Questo avviene caricando la scena tramite il montaggio, la musica e la regia e tutto ciò avviene in maniera completamente antitetica a quella originale, carica di spensieratezza e con una vena comica.
Questi elementi si protraggono continuamente all’interno della prima stagione, arrivando in alcuni casi a snaturare completamente quello che dovrebbe essere One Piece e i suoi personaggi.
Purtroppo, nonostante la presenza più volte rimarcata di Oda, il risutato è diverso da ciò che ci si potrebbe aspettare, dando la sensazione di una visione decisamente troppo Hollywoodiana.
Lato tecnico da rivedere
Grossi problemi anche dal lato tecnico.
Dalle scenografie che ricordano più le attrazioni di un parco divertimenti a tema One Piece che l’estetica di Oda e che risultano spesso posticce e poco ispirate. Una CGI che non riesce mai realmente a convincere, dando l’impressione di essere frettolosa e poco curata.
Ultima, ma non meno importante, una regia decisamente troppo scolastica, che ricorda le serie TV dei primi anni Duemila, con l’unico problema che ormai i prodotti seriali hanno alzato di molto l’asticella, risultando, a livello estetico, più prodotti cinematografici che televisivi.
Se inoltre pensiamo al budget che Netflix ha stanziato per la serie (si parla di circa 16 milioni di dollari ad episodio), non è ben chiaro che utilizzo ne sia stato fatto.
Le tavole di Oda spesso danno un’ampia visione degli ambienti e dei paesaggi, elemento che manca totalmente all’interno dell’adattamento. Le inquadrature sono quasi esclusivamente primi piani o piani americani. Tutte inquadrature che stringono molto sui personaggi e sui loro volti, lasciando troppo poco spazio alle scenografie.
Articolo realizzato in collaborazione con Cesare Fabrizi
#IN BREVE
Un live action fra luci e ombre
Per riassumere, possiamo affermare che il live action di One Piece prodotto da Netflix è sicuramente un prodotto che, a differenza dei precedenti adattamenti di opere orientali, ha riscosso un grande successo. Grandissima parte di questo risultato va dato ad un cast davvero eccellente, ben diretto, sempre molto nella parte e che ha preso a cuore questo bellissimo viaggio.
Le avventure di Luffy e compagni però, non riescono a convincere appieno lasciando qualche dubbio a livello di produzione e, in particolare, nell’aspetto tecnico che è davvero troppo carente per una serie di questo livello.